(R.POLANSKI)
Mi duole affermare come questo film non sia per tutti. Per goderne devi avere la mente sgombra d pregiudizi, almeno una preparazione cinematografica di base e tanta voglia di lasciarti sorprendere. Se non hai queste caratteristiche lascia stare. “Venere in Pelliccia” è un film del 2013 di Roman Polanski, vincitore di Cannes e diversi premi Cesar.
L’opera risulta evidentemente controversa, così come il suo demiurgo Roman Polanski. Lo dirò chiaramente: l’artista è completamente scollegato dall’uomo ed io giudico, sotto consiglio di Kant, solamente quello che posso conoscere. Roman Polanski è uno dei geni del cinema dagli anni 60’ in poi. Sull’uomo non posso e non voglio esprimermi.
La struttura filmica di “Venere in pelliccia” è davvero elementare e si avvicina più all’ultimo Bergman, con il fittizio teatro filmato colmo di tecnica cinematografica. Il punto forte è l’implicito, nulla viene esplicitato per favorire lo spettatore ed esattamente come nella Vita, le verità possono sfuggirti da sotto il naso.
La trama sviscera il rapporto fra Vanda e Thomas, rispettivamente un’attrice che è arrivata tardi ad un provino teatrale e il regista di quello stesso spettacolo. Thomas mette alla prova l’attrice, facendola recitare le battute di Vanda, il personaggio dell’opera che deve essere rappresentata, ovvero l’adattamento di “Venere in pelliccia” di Leopold Von Sacher-Masoch. Thomas le da le battute interpretando il personaggio di Severin.
Prima di parlare del fulcro di questa recensione, la teoria alla base della trama, diciamo qualcosa al livello tecnico. Essendo una location unica, non si può osare troppo e nonostante ciò Polanski fa un eccellente lavoro.
Registicamente la prima metà risulta più dinamica e vivace per “tallonare” i caratteri dei personaggio, così da riflettere il loro scontro sulla validità ideologica dell’opera stessa di Von Sacher-Masoch. Sul masochismo e quindi sull’ancestrale rapporto uomo-donna.
Nella seconda, siccome la sceneggiatura evolve ad un’avvicinamento fra i due caratteri, la regia contrasta questa vicinanza emotiva con inquadrature raffinate, evocative quando però fredde, come monito futuro. Il complesso si chiude con due piani sequenza che si specchiano, uno nella prima scena e l’altro in quella finale.
La fotografia risulta decisamente naturale e rende al meglio l’ambiente di un teatro durante le prove. Spesso il palco è la zona più illuminata. Il montaggio è brillante per quello che può fare, come già detto per la location unica. Soprattutto nella seconda parte dove l’intrigo psicologico acquista sempre più valenza.
Un plauso al mixagio audio dove nella finzione delle battute che gli attori recitano, noi spettatori sentiamo i suoni delle azioni (il libro lanciato nel camino, etc). Tutte queste piccole scelte permettono allo spettatore di empatizzare con una storia che teoricamente dovrebbe risultare distante perché meta-teatrale.
Infine concentriamoci nello specifico sui personaggi e sulla recitazione. Come detto, per mancanza di un vero plot narrativo l’attenzione è totalmente proiettata sul rapporto fra Vanda e Thomas, con i rispettivi personaggi delle piece teatrale, Vanda e Severin. Precisazione specifica e senza velleità, perché quelli ad essere inquadrati dalla regia di Polanski sono in quattro, e non due.
Inizialmente Vanda l’attrice si presenta in modo volgare, con questa gomma masticata rumorosamente e dall’apparenza di una prostituta (o di un attrice che si prostituisce per dei ruoli). Thomas non è affatto convinto ma per via di una giornata di provini infruttuosa decide di darle una possibilità. E immediatamente tutto cambia.
A Vanda l’attrice basta un abito ottocentesco e una postura signorile per diventare raffinata, sensuale e interpretativamente dotata. Sia Thomas che noi spettatori veniamo spiazzati e ci vergogniamo di aver giudicato la sostanza dall’apparenza. E da qui in poi Vanda l’attrice cercherà di convincere Thomas a diventare Severin, ovvero il personaggio di cui lui sta leggendo le battute.
Quindi Severin sarà sempre più presente rispetto a Thomas, che però nelle poche volte in cui compare fa sentire la sua voce di intellettuale arrogante e vanesio. L’argomento della discussione è sempre la stesso: Vanda l’attrice, uscendo dal personaggio, critica l’opera di Von Sacher-Masoch perché ritiene che non comprenda il punto di vista femminile e che lo sessualizzi.
A queste parole Thomas la insulta e Vanda l’attrice decide di andarsene. Ma la seduzione della donna spinge un Thomas infatuato, o forse un Severin, a implorarla di restare. Successivamente Thomas scompare e nel finale diventa sotto ogni aspetto Severin, ovvero un tale che nella finzione dell’opera teatrale decide di firmare un contratto di schiavitù per un anno.
Nei fatti acconsente a tutte le richieste di Vanda, personaggio o attrice? Nel finale le aspettative molto ben supportate vengono decostruite e ribaltate. Vanda attrice, e forse anche personaggio, chiede a Severin di diventare padrone scambiando i ruoli dell’opera teatrale e Severin-Thomas si veste da donna davanti a spettatori sempre più affascinati.
E nonostante il suo ruolo sia quello del dominatore, alla fine viene dominato perché Vanda lo manipola per legarlo al cactus di scena, palese simbolo fallico. E prima di trattare il pezzo forte, ovvero Vanda e la mia teoria al riguardo, parliamo del significato più concreto dell’opera, almeno dal mio punto di vista.
Sia l’opera teatrale che il film tratta della figura Hegheliana del “servo-padrone”, che TROPPO BREVEMENTE per evidenti ragioni, riduco a:”Il padrone non è tale senza un servo che lo serva, e così il contrario. Ma sia il servo che il padrone, in un modo o nell’altro, comandano e servono allo stesso tempo”.
Questa visione è anche uno dei manifesti più onesti e profondi del femminismo, uno dei pochi che accetto, perché Polanski riesce a rendere perfettamente l’ossessione maschilista dell’uomo e la volontà femminista della donna, con una eleganza provocatoria decisamente rara. In nessun momento senti il dominare di uno o dell’altro movimento, non mastichi amaro per una qualsivoglia politicizzazione.
Come ogni grande opera, “Venere in pelliccia” gioca su più livelli. La spiegazione realistica l’abbiamo trattata ma personalmente mi ha appassionato maggiormente quella filosofica. Io ritengo, e non sono l’unico, che Vanda non sia altro che il corpo di cui si è impossessata la dea Venere in persona.
E’ fondamentale far notare come nei primi venti minuti si scherzi sul fatto che nell’antica Grecia, da cui sono state tratte le storiche tragedie, le ninfee di Venere punissero chiunque non riconoscessero la supremazia della loro padrona.
E lo facevano attraverso un ballo…che viene riproposto nel finale in quel momento, che a prima vista appare totalmente ridicolo e fuori contesto, ovvero quello delle “Baccanti”di Euripide che Vanda fa prima di lasciare il teatro.
E ancora: Vanda conosce perfettamente il testo quando un momento prima ha detto di non aver mai letto l’opera, dettaglio che coglie anche Thomas. Ma l’indizio più importante ce lo da la recitazione della meravigliosa Emmanuelle Seigner: è come se inizialmente recitasse il ruolo di Vanda l’attrice per poi gradualmente spogliarsi e diventare prima Vanda il personaggio ed infine qualcos’altro.
Una sorta di estranea venuta a giudicare Severin-Thomas con evidenti abilità psichiche. Conosce la vita di Thomas, che ha una relazione di comodo nascondendo i suoi istinti masochistici, e alla domanda di come conosca queste informazioni mente, come lo stesso Thomas spiega chiaramente. La sensualità e il portamento appaiono sovraumane, anche grazie ad una regia e una fotografia che assolvono al compito di farcelo credere.
Quindi Venere, non avendo apprezzato l’opera originale di Von Sacher-Masoch, perché non la descrive nella giusta maniera, scopre che un nuovo artista che la sta adattando 150 anni dopo. Così si finge un attrice per il provino e lo mette alla prova. Gli fa notare come dovrebbe rivedere alcune parti perché non aderenti alla realtà.
L’artista la insulta dall’alto della sua arroganza e lei sta per andare via ma l’artista, affascinato dalla Bellezza che rappresenta, la implora di rimanere. Venere gli da un’ultima possibilità ma all’ennesima critica al maschilismo dell’opera, l’artista la insulta ancora. Ma Venere questa volta non se ne va e non si lamenta perché ha deciso di rimanere per punirlo.
Così fa, lo lega al cactus e gli mostra il suo vero aspetto e se ne va. Da notare come nel piano sequenza finale, le porte del teatro si aprano senza tocco umano, un vento prepotente spalanca e chiuda le porte.
L’ultima inquadratura risulta emblematica: l’artista chiuso nel teatro, con un riferimento simbolico al fatto di non riuscire a venir fuori dai suoi pregiudizi. I due soli attori sulla scena sono davvero bravi, Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric, ma la Seigner ha dato qualcosa in più.
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