(B.LARSON, 2019)
Com’è “Unicorn store”, il film diretto ed interpretato da Brie Larson (quella di Captain Marvel)?
L’ho trovato un film nella media ma in compenso ho adorato l’atmosfera. Ho apprezzato La volontà di narrare una storia assai semplice, con tutto il tempo necessario per svilupparla. Una trama che si può riassumere in: “Kit è una giovane artista che non sa quale sia il suo posto nel mondo e che un giorno decide di uniformarsi, di maturare, ma prima di farlo deve fare i conti con il suo lato fanciullesco, metafora che si traduce in questo store che le vuole regalare un unicorno, in carne ed ossa”. Tutto qui.
L’impianto narrativo è tipicamente da romanzo di formazione dove si da spazio alla psicologia dei personaggi, piucché alle azioni. E forse qui sta la grande pecca dell’opera: avrebbero dovuto inserire più avvenimenti che coinvolgano la protagonista, magari con lei che ha un contatto più stretto con il suo passato. Un passato che viene liquidato troppo in fretta, a mio modo di vedere.
La semplicità della storia, così come il lato tecnico di cui parlerò successivamente, accentrano il film su Brie Larson e la sua espressività facciale. Kit è una giovane donna dall’animo di bambina, che però è tenace nel difendere il suo mondo interiore. Brie Larson riesce perfettamente a rendere la dualità fra la maschera sociale, quella adulta, e la sincerità dell’innocenza, del dare senza chiedere, della speranza sempre a portata di mano.
Per questo il film commuove e diverte, perché Kit è un’estranea e risulta l’agnello in mezzo ai lupi. E per chi si vuole approfittare di lei ci sono anche degli alleati, come i genitori o Virgil, al loro modo. E tutti i personaggi che valicano la scena sono ben caratterizzati ma il più profondo è sicuramente Gary, il capo di Kit.
Gary si mostra come il “fu sognatore”, della stessa razza di Kit, che la società ha trasformato in un capitalista scontento, diviso fra i due mondi. Per queste ragioni simpatizza con Kit e la desidera sessualmente fin dal loro primo incontro. E’ attratto dal diverso, dalla sofferenza dell’esclusione, di quello che era una volta. Ma alla resa dei conti Gary si dimostra quello integrato e non supporta la protagonista.
Questa interpretazione di Samuel L.Jackson sarebbe stata perfetta per un film di Burton. E’ un cappellaio matto in versione paterna, una sorta di genio di Aladdin. Per Kit è il raggio di sole in una vita piatta e monotona. E nel finale, che non svelerò, si palesa il significato del “seller” e dello “store”.
Prima di chiudere parliamo della prima volta di Brie Larson…non in quel senso, delfini curiosi! Com’è stata la sua direzione registica? Se l’è cavata?
Non me la sento di essere troppo critico: Brie ha fatto il compitino ma senza errori. Ha studiato le basi e le ha messe in pratica, come fanno tanti presunti registi con una carriera. Giustamente ha incentrato la regia e la storia sulla sua interpretazione, valorizzando il prodotto finale. Una scelta onesta e condivisibile.
Solamente un appunto; il ritmo è troppo blando e doveva essere accelerato, leggermente, in alcuni punti. Come ho detto qualche riga sopra, doveva complicare la trama insieme alla sceneggiatrice McIntyre. Comunque nel complesso è consigliato, è su Netflix. Soprattutto se come me volete respirare una boccata d’aria fresca in questo Cinema uscito dalla catena di montaggio.
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