(G.SALVATORES)
Mi sono davvero stancato di film come questi. La mia mente piange cascate pensando che fino agli 80’ il nostro cinema era invidiato da tutti per registi del calibro di Bernando Bertolucci, Dino Risi e Mario Monicelli. Il cinema Italiano era sovversivo e scuoteva le menti di tutti gli spettatori del mondo.
La mia critica è rivolta alla scelte delle tematiche, non al film di Gabriele Salvatores. Perché tecnicamente l’opera è validissima, con una fotografia malinconica, una regia attendista e uno scorrere del montaggio che esplica perfettamente lo stento dei personaggi sulla scena. Salvatores come regista non si discute!
Il punto è: perché in Italia produciamo film nostrani che nel 95% dei casi vanno a finire sempre nel drammone con sempre gli stessi 4 stereotipi: il maschio insicuro e dipendente dal sesso, i valori familiari, la morale comune da sbeffeggiare, il realismo di una società schiava della cucina e del calcio.
Perché? Noi italiani siamo altro, dobbiamo esserlo. Questo discorso lo feci già con un articolo che si concentrava sul dramma del cinema Italiano attuale, dove spiegavo come arrivassero nelle sale esclusivamente certi generi specifici. Nel caso siate interessati recuperatelo qui.
Addentriamoci nel film. Cosa mi ha disgustato di questa nuova opera di Salvatores? La trama si potrebbe spiegare in due righe:“un artista insicuro una sera decide di conoscere suo figlio autistico per la prima volta dopo 16 anni e accidentalmente finisce a fare un lunghissimo viaggio con lui, così da amarlo e dare un senso alla sua vita”.
Questa trama già alla base spinge su due fattori: la pietà e la redenzione. Temi molto cattolici del resto, e questo non mi fa impazzire. Ma il vero problema è il trattamento eccessivo, a tratti surreale, che il film in determinati punti prende.
Già alla base c’è un problema: Willy (Claudio Santamaria) vive del suo egocentrismo e del suo lavoro. Quando scopre che Vincent si è nascosto nella sua auto, la prima cosa che decide è di riportarlo dalla madre furiosa. Ma non può farlo perché sennò questo ostacolerebbe il suo lavoro. Così procrastina.
Molto giusto e corretto al livello di sceneggiatura…causa ed effetto!!!
10 minuti dopo però fa l’opposto e pur di portarselo dietro rischia una condanna per rapimento di minore e di compromettere il suo lavoro di cantante da feste. Si espone alla possibilità della galera al confine con la Slovenia perché Vincent non ha i documenti con sé.
Follia!!!
E qui si arriva al punto: Salvatores forza il realismo fqcendo diventare la storia ridicolmente surreale, con macchiette di personaggi secondari, che si avvicinano tremendamente a quelli di un cinepanettone. Terrificante è lo spiegone a metà film, dove Elena e Mario (la madre e il padre adottivo di Vincent, interpretati dalla Golino e Abbantantuono) incontrano questo gangster dell’est per avere informazioni su Vincent.
La scena è terrificante, non solamente come detto sopra per lo stereotipo che il gangster rappresenta, ma per il fatto che senza ragione Elena ci spiega il suo rapporto con Willy, da cui ha avuto Vincent. Uno spiegone che il film dovrebbe raccontare visivamente, con tutte quelle carissime tecniche cinematografiche conquistate nell’arco di più di 100 anni da registi geniali di tutto il mondo ed epoche.
A parte questo, il film diventa macchiettistico: come nella scena in cui lo sconosciuto, per indicare a Elena e Mario dove trovare il gangster, prenda un foglio di carta e disegni la casa come un ritrattista professionista, invece di dargli l’indirizzo.
O ancora tutte quelle scene dove Willy e Vincent incontrano persone durante il loro viaggio, nomadi e zingari, che paiono gli stereotipi degli stereotipi.Per non parlare del fatto che, siccome parte della trama mostra Elena e Mario cercare disperatamente Willy, nessuno dei due chieda alla polizia di tracciare il Gps del cellulare di Willy…
Dai, c*zzo, La grammatica di base di una sceneggiatura. E porca putt*na!
Prima del parlare del finale AGGHIACCIANDE (così direbbe Antonio Conte). Faccio notare come “Tutto il mio folle amore”, da filmetto qual è, mischi diversi generi senza competenza alcuna: road movie, drammatico, surreale, esistenzialista e commedia leggera.
Insomma, non si sta a capì un c*azzo!
Senza una ragione, nel finale Elena prende Vincent e si allontana dagli uomini della sua vita (Willy e Mario). Come per sottolineare questo femminismo da 4 soldi. Ma andiamo oltre l’acchiappo socio-politico. Teoricamente sarebbe giustificato come Elena voglia rimuovere Willy dalla sua vita perché l’ha “sedotta ed abbandonata” con un figlio in grembo, che voglia cancellare il suo ricordo per rinascere come donna.
E’ comprensibile (anche se suo figlio ormai si è affezionato al padre!) ma quale colpa ha Mario? Ricordiamo come nello spiegone di metà film Elena affermi chiaramente che dopo l’abbandono di Willy, Mario le abbia salvato la vita e l’abbia resa una donna felice.
Questa si che è cura nella scrittura, vai così Salvatores!
Tutte queste spiegazioni per portarvi a queste ultime mie dissertazioni. Non importa se questa trama REINTERPRETATA sia simile al romanzo “Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas, che a sua volta ha narrato una vicenda realmente accaduta.
Non importa che sensibilizzi su l’autismo disciplinando le persone su come trattare questi bambini sfortunati. Non conta una beneamata cippa. Quello che conta è come anche un Autore al livello di Salvatores, un premio oscar diamine, si sia abbassato a raccontare una trama degna del peggior film con Margherita Buy e di Gabriele Muccino.
Questi sentimenti eccessivi e surreali, perché sono quasi 30 anni che si ha paura di raccontare una storia vera, mettendo alla prova i preconcetti e le abitudini dello sacro spettatore medio I T A L I O T A. Dov’è la versione contemporanea de “In nome del popolo italiano” o “Il sorpasso”?
E quando lo si fa, si punta sulla violenza della mafia e della camorra, ovvero su realtà talmente di nicchia da non colpire al cuore lo spettatore medio. Talmente lontane da chi guarda da risultare intrattenimento, come negli Usa si fa con il genere Horror.
Quanto sangue, che paura ma tanto è tutto un film, questo pensa lo spettatore davanti a “Gomorra” e aborti.
Quante risate e cose strane, mi scende una lacrimuccia ma è solo un film, questo dice guardando “Tutto il mio amore folle” di Gabriele Salvatores.
Questo mi disgusta profondamente e dovrebbe farlo anche con voi…ma non succederà e questi TALENTI CREATIVI continueranno a produrre drammoni e commedie del c*zzo, che voi vi berrete tutti!!!
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