Negli ultimi 10 anni sempre più film mainstream, acclamati e talvolta premiati, etichettati come cult immediatamente dopo l’uscita, vengono impostati come labirintici viaggi interiori dei protagonisti, prigionieri di visioni e vorticosi momenti surreali.
Alla base di questa scelta vi è una tecnica di scrittura ben cara agli amanti della settima Arte, che non viene scoperta certamente nei modesti e sopravvalutati anni 2000. L’intero cinema di Bunuel ne è la prova, il cinema del maestro Bergman l’ha fatto pressoché amare al mondo e la poetica dell’Espressionismo tedesco cinematografico, con tutti i suoi allievi e appropriatori indebiti, ne sancisce l’origine.
Eppure negli ultimi vent’anni anche questa tecnica di scrittura sembra essere mutata. I capisaldi si assestano a quelli del passato: l’accentrare l’intero taglio registico, fotografico e narrativo sul carattere del protagonista, far evolvere situazioni con un’accento forzatamente equivoco e distorto, narrare più le emozioni che gli eventi ad essi collegati. Ma a tutto ciò, questi anni aggiungono l’annichilimento dell’organicità della trama.
L’intero genere horror oramai vive di questo. Intendiamoci, nonché fino agli anni ‘90 i film orrorifici fossero questo modello di coerenza, ma almeno si teneva lo scheletro base: un inizio, una parte centrale e una finale dove il protagonista facesse emergere una sorta di evoluzione psicologica. Forse labile ma visibile, con una ricerca di sperimentazione nelle dinamiche (pensiamo allo slasher, per esempio).
Oramai tutto questo è obsoleto, sa di “vecchio” e quindi giù di presunte trame dove lo spettatore deve connettere scene che apparentemente non hanno legame, oniriche e vaghe per intenzione narrativa. Mi viene in mente qualche campione recente del genere: Joker, The Witch, The Lighthouse, Mother!
Probabilmente anche il 70% dei film più amati degli ultimi 5 anni, con un paradosso alla base; adesso scrivere una trama organica, severa e stringente in dettagli chiarificatori rappresenta l’eccezione, la colpa a cui lanciare l’accusa “vogliamo essere stupiti, non ci interessa capire”. The Lighthouse ne è l’esempio principe: la seconda opera di Eggers eccelle nella tecnica a tal punto da inglobare e parassitare la scrittura.
Concedendomi una metafora: è come se il regista e il direttore della fotografia cacciassero via lo sceneggiatore dicendo che possono occuparsi loro della trama. Ma il cinema non era l’unione delle 7 arti? Musica, fotografia, teatro, poesia, pittura, danza e architettura? Allora perché la Poesia, poi assimilata alla prosa, deve essere bandita?
Se ne può davvero fare a meno?
Un’ultimo quesito: è dovere dello spettatore allacciare il senso della storia da una scena all’altra o lo dovrebbe fare chiunque si occupi del film? E non sto parlando della tecnica dell’implicito contrapposta a quella dell’esplicito, di cui parleremo un’altra volta.
Qui si tratta di accettare o meno la legittimazione del surreale all’ultima moda, l’insieme di immagini pensate e girate senza esplicita consequenzialità. E se mi permettete un più che modestissimo parere, a me fa davvero schifo.
Ma si sa, io sono vecchio dentro.
Ciao Arka, articolo molto interessante. Concordo pienamente con te, quando la sceneggiatura viene messa in secondo piano è un grosso errore. The Lighthouse, come hai ben detto, ne è il miglior esempio. Estetica, regia, sonoro favolosi, Dafoe e Pattinson magistrali e sceneggiatura diversamente magistrale? Sembra veramente che Eggers abbia mandato a quel paese lo sceneggiatore pensando di poter fare tutto da solo. Un merito glielo devo concedere, è riuscito (almeno per quanto riguarda la prima visione) a farmi dimenticare completamente della trama, grazie a delle capacità registiche rare. Infatti come sai The Lighthouse per me è personalmente un capolavoro, proprio perché anche senza una sceneggiatura (perché io mi diritto di chiamarla così) è riuscito a farmi amare il film. Poi se devo essere obiettivo tutto cambia ovviamente. Stesso discorso che per The VVitch. Lì la sceneggiatura l’ho trovata e mi è anche piaciuta molto, ma non si possono negare certi grossi difetti che ha. E anche in quel caso Eggers riesce comunque a cavarsela grazie ad un’estetica impressionante. Ma lasciando a parte questo, non si può andare avanti così, la sceneggiatura è importante in un film e non si può mettere in secondo piano. Assolutamente. Per Joker non sono pienamente daccordo, a me la sceneggiatura, con tutti i suoi difetti, mi è piaciuta, ma posso comunque capire il tuo accanimento verso quel film. L’unica cosa su cui non concordo per niente è l’inserimento di Mother! in questo articolo. Per me la sceneggiatura su Mother è messa in primo piano, una metafora perfettamente riuscita, un finale che mi ha lasciato a bocca aperta. Mi piacerebbe che tu mi spiegassi cosa hai trovato di male nella sceneggiatura di Mother, perché per me è intelligente e ben scritta. Non è una critica, ma penso che potrebbe nascere una bella discussione da cui forse imparerò qualcosa. Comunque, ti faccio nuovamente I miei complimenti. Il tema che hai trattato è molto interessante. Ho un’hype assurda per The Northman, il nuovo film di Eggers. Lui ha detto che è il suo lavoro più impegnato, quindi spero vivamente che questa volta un minimo di attenzione in più alla sceneggiatura ce la dia. Alla prossima!
Su Mother! ci farò un autopsia sicuramente nei prossimi mesi, così come su the Witcher (che però arriverà molto prima). Sarebbe inutile e riduttivo risponderti su Mother! in fretta e furia. L’articolo, e spero non sia sembrato di secondo piano, stringe sul futuro che questa tendenza potrà avere. Una sceneggiatura solida e dettagliata diventerà l’eccezione? Questo mi tormenta da almeno due anni e ho molta paura. Tutto qua. Comunque grazie per i tuoi commenti, è sempre un piacere.
Non è per nulla risultato di se condo piano, hai scritto un bellissimo articolo.