Anno 1893: In the final problem Sherlock Holmes doveva sacrificare la sua vita cadendo dalle cascate di Reichenbach trascinando con sé James Moriarty, “il Napoleone del crimine”: così aveva decretato Sir Arthur Conan Doyle, il suo creatore. Eppure, per contrappasso pirandelliano, l’ostinato Sherlock si è ribellato e per voce dei suoi lettori non ha voluto morire. Cinquantamila lavoratori si sono presentati allo Strand esigendo il ritorno di Holmes e Watson, e negli anni venti del secolo scorso fra una guerra mondiale e l’altra, radunare tutte quelle persone per una storia su un giornale risulta di certo un fenomeno di massa interessante. In ogni caso A.C Doyle è stato irremovibile per otto lunghi anni prima di arrendersi e resuscitarlo più in salute e deduttivo che mai.
Probabilmente per problemi di soldi…
Bernand Partridge, illustratore dell’epoca, chiarisce molto bene il paradosso degli autori soffocati dai loro personaggi, così ben creati e rifiniti da acquistare “vita” propria agli occhi del pubblico; pensiamo all’opera di Stephen King, “Misery non deve morire” da cui è stato tratto il film. Partridge mostra Arhtur Conan Doyle seduto su uno sgabello, i suoi piedi sono in catene e vengono tenute da uno Sherlock Holems con addosso il tradizionale soprabito da investigatore. Come sempre ha in bocca la pipa e circonda di fumo il viso dello scrittore, visibilmente seccato.
Perché Conan Doyle voleva abbandonare un “franchising” così remunerativo che lo ha iscritto nella storia del giallo?
Dopo la morte di suo figlio non mi stupisce che la sua anima si sia spezzata e le certezze scientifiche, ricordiamo come fosse medico chirurgo, non abbiano colmato il dolore. Da un anno all’altro è passato dal “metodo deduttivo” al “paranormale” e non solo nelle opere di fantascienza come The Lost world (Il mondo perduto), The poison belt (La cintura avvelenata) o The Horror of the heights(L’orrore delle altezze). Ma soprattutto nel 1918 quando pubblicò New revelation(La nuova rivelazione) in cui spiegava come gradualmente fosse passato a credere nello spiritismo.
Tre anni dopo Doyle sostenne la controversa questione delle” fate di Cottingley”, dove conformemente al parere di numerosi esperti riconobbe la veridicità di quattro fotografie in cui scientificamente si dimostrava l’esistenza delle fate…
Lo scrittore tormentato sostenne la sua tesi sulla rivista Strand Magazine: nel dicembre del ’20 e nel marzo del ’21, terminando con il saggio The coming of the fairies(La venuta delle fate), pubblicato a Londra l’anno dopo. Nel 1930 concluse la sua produzione saggistica-letteraria con The edge of the unknown(Al limite dell’ignoto) in cui Doyle fece un resoconto di alcune investigazioni insieme a cinque collaboratori, avvenute nel maggio del 1925 in merito ad una casa stregata…che sorgeva nel centro di Londra(ma guarda un po’!). Tennero quindi una seduta spiritica, in cui ricevettero un messaggio da parte di Lenin…(sembra proprio un filler di Supernatural!). Eppure Doyle ne accettò l’autencità, ammettendo anche una possibile mistificazione.
Sempre nel ’30, nei mesi precedenti alla sua morte, Doyle dichiarò che il suo spirito guida, noto come “Phineas”, gli avesse permesso di fare una serie di profezie: prevedeva un periodo catastrofico in cui la guerra avrebbe dilaniato la civiltà(per un periodo di tre anni) trascinandosi dietro il caos. I principali centri del conflitto sarebbero stati il bacino del Mediterraneo orientale e l’Atlantico, e a causa dell’innalzamento della crosta terreste avrebbe portato disastri nelle Americhe, sulle coste irlandesi, nel pacificio e in Giappone. Doyle, o per meglio dire Phineas, conclude spiegando come solo il ritorno ai valori spirituali possa salvare l’umanità.
L’ho già sentito da qualche parte…
A prescindere dalle assonanze fra la profezia e gli eventi della seconda guerra mondiale, la domanda da porsi è cosa abbia spinto Arhtur Conan Doyle alle dottrine spiritiche-esoteriche. La risposta non è di semplice lettura; molti hanno sottolineato come Doyle fosse sostenitore del cosidetto “spiritualismo cristiano”. Da un lato c’è l’educazione cattolica ricevuta prima nel Stony Hurts Jesuit College a Clithero, e in un secondo collegio gesuita in Austria. dalla’altro la dottrina dello spiritismo divulgata in Francia nel 1857 dal pedagogo Allan Kardec.
Costretto a “sprecare il suo tempo” per far rivivere Sherlock Holmes, A.C Doyle inserì quelle stesse tematiche esoteriche negli ultimi due cicli di racconti del famigerato detective d Baker Street: in His last bow(L’ultimo saluto) del 1917, introduce nel racconto “Il piede del diavolo” la suggestione di una conoscenza che prevarichi la ragione, mentre nell’ultima raccolta, The case-book of Sherlock Holmes(L’ultimo taccuino di Sherlock Holmes) del 1927, con la storia del “Vampiro del Sussex”, una delle mie preferite, delinea come la deduzione non possa rispondere a tutte le domande e che anzi possa essere superata da forze misteriose.
E’ veramente paradossale come Arhtur Conan Doyle, uomo di scienza e “fautore” del metodo deduttivo nella letteratura, abbia trascorso quasi tutta la sua vita a credere nei fenomeni paranormali.
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