(S.KNIGHT)
Steven Knight, per noi altri “Stefano Cavaliere”, ci ha preso tutti in giro ed ha usato i trailer, la piaga cinematografica degli ultimi anni. “Serenity-l’isola dell’inganno” sembra il solito thriller con sesso, violenza e azione…
Ma andiamo con ordine: l’aspetto fondamentale è l’impianto narrativo. La storia si pone come un noir lineare, con il protagonista schivo ed affascinante che viene coinvolto dalla femme fatale in un caso in cui rischia la vita.
E fin dalle prime immagini capiamo che l’intera trama si accentra solamente sul personaggio di John/Baker, interpretato da Matthew McCounaghey. Tutti gli altri compaiono in scena in relazione a lui e questo ci dice tanto. I tempi sono lenti perché la storia inizialmente si pone con un’affresco della vita del protagonista ma la regia e la musiche riscattano i silenzi troppo prolungati.
Le musiche in particolare sono puntuali, emozionanti e mai invasive ed è uno degli aspetti migliori di tutto il film. Solamente ai 20 minuti compare l’elemento trascinante della trama: Anne Hateway che interpreta Karen, l’ex moglie di John/Baker. La miccia della storia sembra ridursi alla proposta indecente di lei: John deve uccidere suo marito, nonché patrigno del figlio adolescente di John.
L’obbiettivo si chiama Frank Zariakasa, interpretato da Jason Clarke. Un uomo sadico e potente che si fa odiare proprio bene, il tipico personaggio alla Agatha Christie che crepa puntualmente nella prime pagine. Ma ho apprezzato come il protagonista non lo giudichi dalle parole di Karen, di cui non si fida. Infatti John caccia via l’ex moglie perché non vuole più averla nella sua vita ed è sempre lei a presentarsi a lui, mai il contrario.
L’odio nasce quando John incontra Frank e lo sente parlare, anche di suo figlio. Quindi un percorso di odio non lineare ma sterrato dove si raggiunge il punto prefissato senza la noia della prevedibilità. E ti sembrerà di aver compreso il film: John ucciderà o meno Frank Zariakasa? Cederà all’istinto o seguirà la morale? Diversi protagonisti supportano una o l’altra fazione.
Improvvisamente qualcosa cambia, la reale struttura del film viene fuori e Stefano Cavaliere ci fa capire come John non sia impazzito, dandoci diversi elementi per sostenere la verità: quella realtà è immaginativa, e il figlio di John, al pari di Pirandello, ha creato una storia e dei personaggi dentro un videogioco.
L’isola di Serenity non esiste e John, il surrogato mentale del padre del “creatore”, lo sa e si comporta come il Jim Carrey di Truman Show. L’uomo mette in crisi quel sistema ed il paese compare ai suoi occhi come una massa informe di figuranti. John li manda in corto circuito, come fanno “Quei due sul server“ con le IA, ovvero non seguendo le linee di gameplay suggerite e John, come in Black mirror Bandersnatch, accetta il suo compito di burattino.
Comprende che suo figlio. il burattinaio, ha bisogno che lui uccida nel gioco il suo patrigno Frank. A quel punto io ho capito come il gioco fosse il banco di prova del ragazzo, costretto nella sua stanza ad ascoltare sua madre venir picchiata dal patrigno.
Il ragazzo non riusciva a decidersi se uccidere o meno il patrigno, lo agognava senza averne il coraggio. Così ha creato un gioco dove il protagonista fosse suo padre, allegoria di sé, portandolo lentamente a quella decisione. Ma il ragazzo sviluppa il gioco mentre sta prendendolo la decisione fatale. In questo senso, il montaggio è splendido perché alterna la figura del ragazzo con quella di John, usando la medesima tecnica anche nella prima parte del film, dove si era ancora distante da quella consapevolezza.
John, supportato dall’ex moglie Karen, spingono il patrigno nelle fauci dello squalo in mare aperto, riferimento all’ossessione di Moby Dick da parte del capitano Achab. Allo stesso modo il ragazzo si alza dalla sedia e con il coltello da caccia del suo padre “reale”, lascia la stanza. Stefano Cavaliere non ci mostra l’omicidio ma solo il suo ritorno su quella stessa sedia.
La potenza dell’immaginazione, dell’implicito, qualità ormai persa nel cinema degli ultimi vent’anni.
Eppure Stefano Cavaliere nella struttura per certi versi nolaniana, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo perché introduce la componente immaginifica in maniera semplicistica ed offensiva. Un personaggio di Serenity parla con Jack e gli spiega tutto.
Senza tensione e pathos.
Uno spiegone che c’entra con il film come Montero con il fair play. Ma comprendo dolorosamente il sacrificio di Stefano Cavaliere, regista e sceneggiatore: il suo target comprende soprattutto il meraviglioso “pubblico generalista”, quello che fa incassare un miliardo di euro ad “Aqua man”.
E questi signori, pigri, impazienti e svogliati, non accetterebbero di scoprire l’inganno del doppio mondo senza indizi palesi e spiegoni da Z-Movie, degni di “Animali fantastici e i crimini di Grinderwald”.
Ma ho adorato, come già detto, come Stefano Cavaliere prenda in giro questo stupefacente “pubblico generalista” con trailer dove si punta sul eros e il sangue, con una palese mercificazione sessuale del corpo di Matthew McConaughey.
La recitazione, come l’intero film, si concentra essenzialmente sul protagonista. La sceneggiatura non permette agli altri personaggi di svilupparsi per una precisa intenzione narrativa, nonostante non stonino affatto.
Dopo la scoperta dell’”inganno”, ad una seconda lettura la regia di Stefano Cavaliere appare evidentemente video-ludica. Ce lo conferma il primo piano sequenza/drone che viene riproposto nel finale ma questa volta nella sua natura pixel. Il finale drammatico scema gradualmente verso il malinconico/surreale, esattamente come il film nel complesso.
Scopriamo che Il ragazzo viene arrestato e che suo padre non lo ha mai abbandonato perché è morto in guerra. L’unico modo per mantenere vivo il suo ricordo è inserirlo in delle storie in cui può parlare con lui. Quindi alla fine “Serenity-l’isola dell’inganno” non è un film d’azione, né un film surreale ma un opera di denuncia sociale. Paradossale e complicato quanto volete, ma alla base rimane tale.
E se seguite le follie di Spyke, saprete che detesto l’abuso del femminismo nei film degli ultimi anni, ma in questo caso non mi ha dato fastidio, perché è di sottofondo comparendo nella sua natura di pretesto narrativo.
Nel complesso è un bel film d’autore che inciampa rovinosamente nello spiegone gratuito. Che lo si voglia ammettere o meno, i cash contano nell’industria cinematografica. Purtroppo!
PS:Che ca*o di sottotitolo è “l’isola dell’inganno”? Che se fumano i titolisti italiani?
Ahaa, il suo buono dialogo riguardo questo paragraph qui a questo pagina web , ho letto tutto ciò che,
in modo ora in questo momento mi ha anche commentando Sono in questo luogo.
Maramures Grazie, buona giornata!