Ho un debole per l’età vittoriana e tutte quelle epoche così distanti dallo schifo del secolo duemila. Quindi ad una scenografia meravigliosamente realistica aggiungeteci Eva Green and i will fall in love, my friends. Penny dreadful è una serie prodotta da Showtime, Sky Atlantic e dalla meno nota Desert Wolf. Il soggetto della prima stagione è decisamente brillante: prendere gli storici penny dreadful,” spaventi da un penny”, ovvero dei dime novel che raccoglievano storie del folklore horror per assemblarli in una trama unitaria.
Lo sfondo è una Londra crepuscolare sullo scadere del diciannovesimo secolo ma l’intuizione sta nell’aggiungere i simboli letterari dell’1800, anche se di decadi differenti: Dorian Gray, Van Helsing, Dr.Frankestein. Se spiegata in questo modo la trovata puzza di trash, non per forza negativamente(Once upon a time!), ma la magia sta nella stesura di una sceneggiatura che risulta personale, incisiva e profonda. Gli scivoloni sono solamente quattro, uno dei quali però è straziante.
Eppure il punto di forza sta nell’ incentrare la storia sui personaggi inventati (Vanessa Ives e Malcom Murray), i protagonisti che vengono contornati dalle famigerate figure letterarie. Non è un caso che Dorian Gray, Dr.Frankestein e Van Helsing vengano inseriti gradualmente, l’eccezione è Ethan Chandler che viene presentato come personaggio originale e nell’ultimo episodio viene svelato come wolfeman. La sorpresa penso sia diffusa, come il sottoscritto, perché non so in quanti conoscano la serie di film che la Universal dedicò al personaggio fra 1935 al 48’.
In ogni caso, la storia si permea sull’aspetto originario dei penny dreadful: l’orrore. Il taglio narrativo punta in quella direzione, a cui affiancano il genere drammatico con la fotografia opaca e una regia che si prende il tempo necessario per inquietare l’anima dello spettatore. La messa in scena è direttamente efficace perché non si perde in sottotrame non funzionali in qualche modo alla storia principale.
In questo senso il finale del secondo episodio ci mostra chiaramente come le vicende personali del dr.Frankestein non siano solamente effimere e poetiche, con una colonna sonora che scioglie il cuore, e nell’atto pratico amplino il suo personaggio schiudendo allo stesso tempo la figura nascente del mostro Frankestein.
In generale la trama è semplice, e sia ringraziato l’altissimo: Sir Malcom Murray e Vanessa Ives, eccellentemente interpretati da Timothy Dalton ed Eva Green, sono alla ricerca di esseri soprannaturali e reclutano uno sbronzo playboy che si esibisce come cowboy, un Ethan Chandler interpretato da un sorprendente Josh Hartnett. Fin dal primo episodio capiamo che Murray e la Ives sono alla ricerca di Mina, la figlia di Murray che è stata rapita da creature mostruose dagli occhi rossi che si nutrono di sangue e che solo successivamente avremo la conferma essere vampiri. Mina però non si trova perché è sotto il controllo del Master, il re dei vampiri.
Nella seconda stagione comparirà Dracula?
Da questo incipit viene introdotto il personaggio di Victor, ricercatore medico che farà l’autopsia di uno di questi esseri sovrannaturali e che si scoprirà essere il dr.Frankestein di Mary Shelley. Ma le creature della notte hanno un segreto, sotto pelle sono incisi dei geroglifici tratti dal Libro dei morti in cui si parla di una profezia riguardante gli dei egizi Amonet e Amon Ra.
Dove cazzo è Sherlock? Il periodo è quello, smettila di drogarti per noia. Chiamate Watson! Venite fuori!
Qual è il legame fra l’antico Egitto e la Londra Vittoriana? Parrebbe inverosimile se non fosse per il talento di Eva Green, che risulta credibile nell’essere posseduta per tutta l’arco della stagione…a parte la scena della seduta spiritica del secondo episodio, un pochino eccessiva che strizza l’occhio all’Esorciccio ed a tutto il materiale parodistico. Questo è il primo scivolone, ma è colpa della sceneggiatura perché la celestiale Eva quasi ci convince del contrario…
Il resto della trama si esaurisce in due righe: attraverso le visioni di Vanessa Ives i nostri “eroi” raggiungono infine il teatro della città per salvare Mina, che però non può essere salvata perché si è asservita al master. Quindi Murray, il padre, è costretta ad ucciderla. Stop. Lo sviluppo della storia non è un intreccio Christiano o alla Ellery Queen, perché se così fosse stato starei gridando al capolavoro in aramaico, dopo aver imparato l’aramaico ovviamente!
Ciò che splende è l’affresco delle vite dei personaggi sulla scena, che nemmeno per un momento ci fanno sentire la mancanza di colpi di scena esplosivi. L’aperitivo si chiama Ethan Chandler. Per intenzione di scrittura è il personaggio più sottovaluto, quello di contorno, che viene immediatamente mostrato come un ubriacone che fotte con delle sveltine. Appare il tipico scagnozzo con la pistola fumante senza cervello, per stessa ammissione di Murray a Victor. e le parole del gentiluomo inglese rispecchiano le aspettative dello spettatore.
Ma la struttura della sceneggiatura contraddice sia le prime che le seconde. Lentamente, episodio dopo episodio, la storia di Ethan evolve in modo prepotente: si lega con Brona, questa prostituta affetta da tisi, e si innamora del suo animo gentile. La scena che mi ha più emozionato di tutta la serie li riguarda entrambi. Parlo dell’unico appuntamento fra lei e Ethan in teatro: Brona assiste allo spettacolo con l’ingenuità di una bambina e per contrasto ci riporta alla mente la confessione di lei di essersi sposata una volta, per essere stuprata continuatamente, solo per sopravvivere. E in quello sguardo sognante, registicamente contrapposto alle affettuose risate di Ethan, noi ci nutriamo della vita disperata di Brona e gioiamo per lei perché ha riscattato la sua felicità, per una sera.
Ma il finale dell’episodio ci riporta alla tragedia, in senso shakespeariano non a caso! Nella notte Brona si accascia sul selciato tossendo sangue ma lo sviluppo psicologico di Ethan non si ferma qua. Il suo amore per lei appare genuino, la assiste sul letto di morte in modo commovente. Si ha l’impressione che Ethan debba riscattare l’aggressività latente, il marciume morale che definisce il suo sguardo, la sua omosessualità repressa. Josh Hartnett comunica in modo strabiliante queste emozioni.
Infine veniamo a sapere come sia un fuorilegge americano ricercato dal padre che lo vuole riportare in patria con qualunque mezzo. E anche quando nell’ultimo episodio pensiamo di essere arrivati in fondo alla sua storia, la sceneggiatura ci tira un montante sul naso. Ethan è un lupo mannaro!
Continuiamo con il nostro menù. Il primo piatto è il malatissimo triangolo fra Sir Malcom Murray, Miss Vanessa Ives e Mina Murray. La provocazione della scrittura sta nel evitare di spiegarti inizialmente le dinamiche del loro rapporto, a parte la constatazione che Mina sia la figlia di Murray. Inizialmente avevo espresso il dubbio come Malcom e Vanessa fossero amanti. Difatti nella seduta spiritica il master, mediante la voce di Vanessa, accenna a questo aspetto.
In ogni caso il loro rapporto è torbido, vivono sotto lo stesso tetto e si mostrano come inseparabili. Solamente nel quinto episodio scopriamo i loro trascorsi: Vanessa e Mina sono sempre state vicine di casa e amiche insperabili fin dall’infanzia ma Vanessa era matta (per gli standard del 1800) quindi sociopatica (per gli anni 2000). La gelosia verso Mina è esplosa quando Vanessa ha sedotto il suo promesso sposo prima del matrimonio. E’ stata mandata in un sanatorio psichiatrico dove si credeva che torturare i pazienti con l’acqua gelata e lobotomie parziali potesse curarli. Ovviamente non funzionò e permise al Master di impossessarsi di Vanessa.
Brillantissimi questi sedicenti dottoroni…
Trattiamo un attimo la questione: l’episodio ci mostra come Vanessa senta “le voci” fin da bambina e infine ci mostrano come dopo il trattamento del manicomio lei ceda al master di questi vampiri-egizi(?). La mia opinione è che il trattamento al sanatorio abbia esposto Vanessa alla totale irrazionalità così da permettere al Master di entrare nella sua testa. Questo sembrerebbe essere il modus operandi del Master, considerando che la stessa Mina dopo il tradimento di Vanessa perda la retta via e finisca nelle braccia dei vampiri-egizi. Oppure non è così; Vanessa è predestinata ad essere il contenitore di Amonet e possedere Mina è solamente l’esca perfetta per catturarla.
In ogni caso è interessante come al livello di struttura questi avvenimenti prendano l’intero quinto episodio, spezzando la narrazione a montaggio temporale alternato (presente-passato, scuola Lost) usata sino a quel momento. Ho apprezzato quella scelta che equivale ai “due punti” della punteggiatura; la storia non vuole continuare senza dare allo spettatore tutti gli strumenti per decifrare i patemi dei personaggi.
Eh no, non è uno spiegone frettoloso ma risulta un evidente intenzione di chiarezza narrativa. Non a caso sia il sesto e soprattutto il settimo episodio si incentrano proprio sulla figura di Vanessa Ives e sulla sua possessione, sulla fragilità di una donna che reprime la sua emotività per combattere il “male”.
Se fino al sesto episodio l’angoscia lancinante ci aveva solo cinto le spalle con un implicito preponderante, il settimo episodio ci strozza con due enormi braccia da minatore. Cinquanta minuti di tormento dove lo strazio di Vanessa riapre le ferite di tutti gli uomini che la sorvegliano e degli spettatori alla visione. E’ come se il Master avesse posseduto anche noi mentre non riuscivamo a staccarci dal volto malato e comunque seducente di Eva Green che insulta gli altri con la verità sulle loro azioni. Il riferimento è “l’esorcista di Friedkin” ma l’atmosfera è propria di Penny Dreadful.
Quando si sa sviluppare un buon soggetto c’è poco da fare, vero Rovere?
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