(Q.TARANTINO)
Questo film complessivamente non mi ha convinto, così come la poetica cinematografica di Quentin Tarantino. Questo non significa che non ci siano film apprezzabili del regista ma che personalmente ritengo si riducano a 3, e di questi “Pulp fiction” merita specialmente.
Che cosa penso nello specifico di “C’era una volta ad Hollywood”?
Che sia meraviglioso sotto l’aspetto visivo. La regia è di una pulizia e potenza mai vista nel suo cinema ed è accompagnata da una fotografia malinconica e fredda al contempo, che sottolinea l’introversione dei personaggi, specchio della società che descrive. A completare il quadro abbiamo il realismo di quegli anni, con una cura maniacale nel dettaglio.
Allora che cosa non mi convince?
La trama!!! E’ sempre quella che frega tutti…e sapete perché? Nel 95% dei casi per avere un bel lato tecnico bastano i milioni di dollari ma per una buona idea e capacità di scrittura non basta aprire il portafoglio!
E parliamo di questo gioiello di storia: molti hanno detto come questo film sia il testamento di Quentin Tarantino, la summa della sua poetica. Posso essere d’accordo perché Tarantino, come molti registi visivamente prepotenti, Fellini su tutti, non devono scrivere neanche una riga.
Devono invece valutare il lavoro altrui di sceneggiatori professionisti e modellarlo, sempre dando istruzioni, ma DALL’ ESTERNO. In “C’era una volta ad Hollywood” Tarantino ha dimostrato tutta la sua amatorialità nel trattamento cinematografico di un soggetto.
Sapete qual è il vero problema di questo film?
Non c’è empatia, non si tange un reale coinvolgimento dello spettatore per le vicende dei personaggi. E sapete perché? Perché la sceneggiatura non è organica e si muove a tentoni o a blocchi, indipendenti l’uno dall’altro.
Per la prima metà pensiamo che l’obbiettivo della storia sia darci uno spaccato di Hollywood del 1969 usando come pretesto Di Caprio, Pitt e la Robbie. Improvvisamente diventa un thriller alla fratelli Coen, ma solo per 15 minuti.
Ad un certo punto si ci dimentica di tutto quello successo precedentemente e si raccontano, mediante una voice over spuntata dal c*zzo di nulla, le vicende italiane di Di Caprio, per concludere ad un magnifico finale horror/splatter.
In questa confusione strutturale i personaggi non evolvono. Questa è la ragione per cui questo film ha annoiato molti oltre me. Non si capisce quale sia il centro…Di Caprio? Hollywood? La setta di Manson? Pitt? Robbie? Le immagini di repertorio?
Come tutti i personaggi di Tarantino, a parte la Turman nei “Kill Bill”, anche qui esiste solamente il loro presente. Questi manichini ciarlano, agiscono ed uccidono…ma cosa sappiamo di loro? Nulla, assolutamente niente.
Voglio porvi una domanda: qualcuno di voi sa dirmi qualcosa del passato di questi personaggi? A parte per il personaggio di Pitt che cita il fatto di essere stato in prigione e che sembrerebbe aver ucciso la moglie. Gli altri sono “aria fritta spadellata con carote alla julienne”.
Il film non ha una vera trama, la prova ne è la difficoltà di spiegare cosa succeda. La storia appare nebulosa, inconcludente e si delinea più come un esercizio di stile molto ben riuscito, piuttosto che un contratto di empatia fra lo spettatore e l’artista. La consacrazione è il finale, dove si scopre l’obbiettivo di Quentin Tarantino: perculare lo spettatore.
Alcuni hanno affermato che quest’opera è una favola e probabilmente pure a ragione, però a me risulta una presa in giro evidente. La revisione della Storia, gli avvenimenti subiti da Sharon Tate subiscono il disneyWashing con un perfetto finale alla mulino bianco.
Che bello giocare con le aspettative dello spettatore che fin dalla prima inquadratura empatizza con la Robbie, non per il valore dello sviluppo del personaggio, ma perché parte con il preconcetto storicamente valido che lei morirà.
E invece no…ahahahah. Quentin come prendi per il culo tu, nessuno.
Anche perché l’ilare Quentin sembra essere l’unico a potersi permettere un’atteggiamento del genere. Se lo fanno in Iron Man 3 o chiunque altro film, si grida allo scandalo e si fa del cyber bullismo verso chi la pensa diversamente. Ma se lo fa lui…allora va bene, perché lui è un genio ribelle!
Ma volete sapere qualcosa di ancora più divertente: io non ero a conoscenza della sorte di Sharon Tate e quindi ho seguito la visione per quello che il film mi ha mostrato.Con me nessun trucchetto…la mia reazione?
Noia, noia, noia, noia e ancora noia!
Si potevano tagliare almeno 40 minuti, comprese tutte le scene di Margot Robbie che a conti fatti non ha alcun impatto sulla trama, oltre al fatto di alzare l’erezione. Ed è sintomatico come una delle poche scene emotive del film sia quella della Robbie al cinema…
Comunque, “C’era una volta ad Hollywood” non è completamente negativo, solamente sopravvalutato. A prescindere dalla totale organicità e coerenza della sceneggiatura, ci sono scene notevoli.
Le due riguardanti gli amici di Charles Manson (quella di Pitt al ranch e il finale). Sono commoventi i riferimenti a Hollywood che consacrano l’amore di Tarantino verso il Cinema Americano. Eppure ho ritenuto troppo prolisse le scene che mostrano le scene girate sul set.
Personalmente avrei messo al centro le vicende degli amichetti speciali di Manson in cui i due protagonisti inciampano spesso. Ma ovviamente sarebbe stato troppo professionistico e poco “a c*zz di cane Quentin”.
Comunque, nel complesso è un film consigliatissimo per chi voglia godere di immagini di vero Cinema (e non mi stupirei se venisse nominato come miglior regia agli Oscar) ma per le emozioni andate altrove!
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