(D.CARRISI)
A me dispiace far notare l’inadeguatezza della scrittura cinematografica di uno scrittore letterario (scusate il gioco di parole!) Uno scrittore che improvvisamente si apre al cinema e scrive sceneggiature con la boria di chi è del settore. “L’uomo del labirinto” nel suo complesso ha diversi punti di interesse, fra citazioni, atmosfere da cinefumetto, una predominanza visiva tendente al surreale e un impegno notevole nel rendere sensorialmente l’idea della droga psicotropa.
Ci sono anche riferimenti letterari a Kafka, agli ambienti alla “Blade runner” e anche allo Spaventapasseri gothamiano. Anche i nomi assurdi e lo stile noir vengono contestualizzati in un atmosfera intenzionalmente irrealistica. Al livello recitativo c’è un Dustin Hoffman ordinario ma sempre in parte, un intenso Tony Servillo, un ispirato Vinicio Marchioni (“il freddo” in Romanzo Criminale) e un’oscena Valentina Bellè con una interpretazione parodistica-caricaturale.
Eppure il problema è sempre lo stesso e lo sottolineo OGNI VOLTA: quale senso ha costruire un buonissimo impianto visivo quando la sceneggiatura è penosa? Perché produrre una manovra del genere relegando lo spettatore ad un ruolo passivo, di chi subisce senza relazionarsi attivamente a quello che vede?
Essendo una opera mal riuscita, posso dire semplicemente che non è un film adatto allo spettatore casuale che cerca un horror che lo scuota dal torpore quotidiano. Risulta invece un film interessante per i cinefili che vogliono solamente godere di belle immagini, scelte tecniche peculiari in un ambito italiano, nei fatti stagnante.
Per me è un no, sconsigliatissimo con una trama che insulta e per questo non deve essere finanziato. Posso sbagliarmi e nel caso fatemelo sapere con un commento. Ovviamente ben motivato.
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La grande domanda: di che c*azzo parla il film? E il finale?
Giustamente molti non ci hanno capito niente ed io stesso, come sceneggiatore, ho rischiato di perdere il filo. L’errore sta in un cratere di sceneggiatura intenzionale di Carrisi. Ma andiamo con calma. Ci sono due storie dentro questa presunta sceneggiatura.
STORIA A:
La polizia ritrova Samanta Andretti, una ragazzina di 13 anni, che è sfuggita ad un rapimento. I poliziotti a capo del caso tengono la ragazza sotto le cure dell’ospedale San Caterina. Alle ricerche si unisce il detective privato Bruno Genko che, dopo una vita di egoismo e narcisismo, scopre di stare per morire e decide di sacrificare i suoi ultimi giorni nella cattura del rapitore della Andretti.
Ma la polizia non lo supporta e solamente sotto ricatti di Genko mostra degli indizi rivelatori che lo porteranno ad un testimone oculare che descrive il rapitore come una figura umana con testa di coniglio. Genko segue questa pista e con la collaborazione di uno dei due responsabili della sezione persone scomparse, un tale Simon Berish, scopre un presunto collegamento con un altro bambino rapito molto tempo prima.
Tale bambino poi venne ritrovato 3 giorno dopo e per via di quello che subì i suoi genitori lo fecero allevare da un orfanotrofio in campagna. Il bambino sfortunato crebbe e cambiò identità. Genko scopre tutto questo parlando con l’anziana signora che al tempo se ne occupò. Con la scusa di mostrargli un fumetto del bambino, la donna stordisce Genko e si fa raggiungere dal rapitore della Andretti chiedendogli spiegazione su come gestire la situazione.
In risposta il rapitore uccide l’anziana e sta per fare lo stesso con Genko, che però inventa uno stratagemma per scappare, dimenticandosi il cellulare. Tornato a casa, una chiamata via skype gli mostra come il rapitore con la testa a forma di coniglio stia per uccidere Linda, una prostituta di altro borgo a cui Genko tiene particolarmente.
Così l’investigatore si lancia nel salvataggio ma arrivati a casa di Linda la trova morta e nella vasca da bagno c’è l’assalitore con ancora indosso la maschera da coniglio. Però qui succede qualcosa: l’uomo è ferito e dopo essersi tolto la maschera da coniglio confessa che il vero rapitore lo ha costretto a fare tutto quello, minacciandolo di uccidere sua moglie e sua figlia.
Minaccia che in effetti si è concretizzata perché le donne in casa del dentista hanno rischiato di morire. Genko sposta l’attenzione del caso sul bambino rapito tempo prima e arriva, dopo diversi collegamenti, a capire come non sia nient’altro che il dentista trovato in caso di Linda. Comprende come sia lui Bunny, il rapitore, e che abbia inscenato tutto per raggiungere l’ospedale San Caterina per raggiungere Samanta Andretti e rapirla nuovamente.
Scoperta questa verità Genko viene colpito dall’attacco di cuore fatale e viene portato in ospedale ma per fortuna l’investigatore registrava tutti i progressi, per cui le autorità scoprono tutto e tendono una trappola al dentista che viene arrestato. La 13enne Andretti è salva. Genko intanto è morto ma felice per aver risolto quel caso che lo tormentava da 15 anni, ovvero da quando non aveva accettato il denaro dei genitori dell’Andretti.
STORIA B:
Dustin Hoffman interpreta il ruolo di un tale che si presenta come il dottor Green e che appare come il profiler mandato per far recuperare la memoria a quella che sembra essere Samanta Andretti. La quale però è invecchiata di 15 anni perché è stata rapita per tutto quel tempo, così dice il dottor Green che cerca di curarla facendole ricordare i soprusi.
La sedicente Samanta racconta di questo labirinto, ovvero di questo enorme sotterraneo fatto di porte. Racconta delle torture psicologiche subite, per il fine di dare indizi che possano catturare il rapitore. Fra visioni e pensieri, gradualmente la ragazza capisce che tutto quello che gli viene detto è falso, e come lei non sia Samanta.
Così scappa tornando in superficie riportando alla mente la sua vera identità: Mila Vasquez. Ovvero l’altra responsabile della sezione persone scomparse, irrintracciabile da più di 48 ore dal collega Simon Berish, negli stessi giorni dell’indagine su Samanta Andretti.
SPIEGAZIONI (PIU’ CHE DOVUTE!)
Il fenomenale Carrisi alterna la Storia A con quella B, facendoci credere che Mila Vasquez sia Samanta Andretti invecchiata a causa del tempo trascorso. Così da creare uno stupefacente colpo di scena, roboante soluzione che facciano saltare sulla sedia lo spettatore.
Ovviamente non ci riesce.
Questo perché l’intreccio non è solido, lo spettatore percepisce chiaramente come il colpo di scena sia forzato. Ma ciò che ignora lo spettatore è come l’alternarsi di A e B sia un errore al livello di sceneggiatura. Carrisi non è riuscito neanche a rispettare la logica di causa ed effetto.
Prima di tutto la credibilità della Storia B: realisticamente quante sono le possibilità che ci sia un secondo rapitore (Dustin Hoffman) che torturi psicologicamente uno dei personaggi della Storia A? E soprattutto perché il personaggio di Dustin Hoffman si impegna così bene a fingere di essere il reale dottor Green (un giovane rampante che si vede parlare con Simon Berish) rendendo una delle stanze del labirinto identica alla stanza d’ospedale del San Caterina?
Come abbia ottenuto queste informazioni non è lecito saperlo. Evidentemente questo inganno non era necessario, considerato che Mila Vasquez scompare prima del ritrovamento della Andretti. Ma allora a chi era diretta la mistificazione?
Allo spettatore. Dustin Hoffman rompe la “quarta parete” della credibilità e rende questo film una parodia ridicola di Pirandello. Non c’è altra spiegazione.
Inoltre c’è un secondo punto: che cosa legittima l’inganno? Che cosa spinge lo spettatore a credere per ¾ del film che Storia A e B coincidano? Due dettagli: il primo al livello visivo con le stanze perfettamente identiche (boh), in secundis un dialogo specifico fra Genko e gli sbirri, che però viene contraddetto da una scena nel finale.
La prima volta che Genko si rapporta con gli sbirri, per legittimare il suo impiego nel caso, mostra questo contratto di 15 anni prima dove i genitori di Samanta Andretti lo avrebbero ingaggiato nel caso. I poliziotti dicono che però non è più valido perché sono passati 15 anni e i genitori della bambina sono morti. Peccato però che nel finale, quando Simon Berish arresta il rapitore-dentista, si mostri una 13enne medicata al San Caterina.
Allora, sono passati 15 anni o 3 giorni???
Casualmente questi 15 anni tornano utili, a dispetto dell’intelligenza dello spettatore. Perché così Dustin Hoffman può perculare lo spettatore facendo credere che Mila Vasquez sia Samanta Andretti invecchiata. Ma il film stesso si contraddice…
SCELTE RIDICOLE ed ALTRI BUCHI DI SCENEGGIATURA
Ovviamente una pessima sceneggiatura non comprende un solo errore ma molteplici. La due scene più parodistico-grottesche sono sicuramente quelle più legate all’ambito fumettistico: quella del bar in cui Genko parla con l’uomo malato senza voce e quella con l’esperto di fumetti che si presenta a Genko con una benda sull’occhio, neanche fosse Long John Silver.
Ma la scena più stupida del film è quella della fattoria dove Genko parla con l’anziana che lo stordisce nel piano sotterraneo. Genko risvegliatosi scopre come il rapitore sia sopra la sua testa e che la donna gli abbia sottratto cellulare e portafoglio. La sua reazione, quella di scappare, è legittimata per una persona debole ma non per un investigatore esperto, che porta con sé una pistola e che ha assistito al peggio dell’umanità.
Quindi, dopo aver fatto cadere il rapitore per le scalette Genko, potrebbe rinchiuderlo nello stesso posto in cui era prigioniero lui, aspettare la polizia e far concludere il film. Non solamente scappa come davanti ad un fantasma ma dimentica anche il cellulare, che era a portata di mano.
La scena, all’apparenza giustificata ma nei fatti patetica, crea un effetto domino perché: quindi il rapitore scopre chi è Genko, uccide la sua amica prostituta e attiva il piano per farsi introdurre nell’ospedale e avvicinarsi. Quindi Genko per una doppia cazz*ata, molto comoda al livello di scrittura, causa una morte, permette ad un serial killer di attentare ad un’altra vita e spinge avanti la storia.
Trama che altrimenti si sarebbe arenata e Carrisi, come scrittore, sa tutte queste cose. Ma se la ride sotto i baffi e crede che nessuno lo scoprirà…
Concordo pienamente. Film bruttissimo a tratti imbarazzante e malissimo recitato (Servillo a parte)
Servillo è sempre bravo, ma non può salvare una sceneggiatura che non si regge in piedi.