Non capisco l’operazione di “Love, death and robots”, serie fresca fresca di Netflix. Certo, il lato tecnico è notevole ma il senso generale mi sfugge. Questa “serie” appare come un contenitore di cortometraggi slegati l’uno dall’altro. Il primo episodio, “il vantaggio di Sonnie”, è davvero molto bello. Segue un secondo, “Tre robot” ancora più bello e divertente, che però non c’entra un cazzo con il primo. E così via.
Questo mi ha molto deluso perché mi sarebbe piaciuto avere 18 corti, dagli stili diversi, collegati in qualche modo e con vicende ambientate nello stesso mondo. Con personaggi di episodi diversi che si incontrano qua e là, per confluire verso un finale comune.
Quindi in “Love, death and robots” da un lato ci sono i corti, facilmente usufruibili con animazioni fumettose, che attirano un pubblico dai 15 ai 35-40 anni. Dall’altro nessuno sforzo per riproporre altro che citazioni viste e riviste centinaia di volte nelle grandi opere cinematografiche e serie televisive. I riferimenti sono gli stereotipi del cyber-punk, sci-fi,thriller, surreale, pulp, etc. Raramente ci sono spunti veramente originali. Le perle sono poche.
Penso a “Zima blue”, dove si rielabora il mito dell’intelligenza artificiale che diventa metafora dell’artista stesso, che si deve distaccare dal mondo per guardare il cosmo, o “la discarica” dove il senso del malsano, del sentirsi esclusi non è più una prigione ma un senso di appartenenza, o i già citati primi due episodi dove le emozioni scorrono prepotenti e ti colpiscono al cuore.
Gli altri episodi non sorprendono, sono sterili. Si passa dalla demenza politicizzata di “Alternative storiche”, dove si vuole vincere veramente facile uccidendo Hitler in modi alla Grattachecca e fichetto, alle solite storie di robottoni e mazzate che valgono il tempo che trovano. come in “Punto cieco”, ”Tute meccanizzate” e ”muta forma”.
Infine ci sono dei tentativi per far ragionare lo spettatore, ma senza riuscirci; In “Dare una mano” prevale il lato tecnico, con una CGI che appare tale solo nel volto della protagonista perché il resto dello spazio è perfettamente realistico. “La notte dei pesci” diventa un progetto photoshop con questi colori brillantissimi che riempiono gli occhi e lasciano vuota la mente. “Il dominio dello yogurt” e “l’era glaciale” dovrebbero far riflettere ma non lo fanno. C’è qualcosa di stantio e vecchio, quasi accademico.
Nel complesso “Love, death and robots” è consigliato se vuoi rilassarti prima di andare a dormire o se lo vuoi usare come sottofondo mentre scopate. Ma personalmente di artistico non ha proprio nulla. Alcuni corti di per sé meritano, ma il complesso smitizza e rende “Love, death and robots” un enorme giocattolone di CGI fruibile per pochi spiccioli, al grande pubblico.
Masturbazione artistica e citazionismo per non crescere, per non pensare.
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