Era il lontano 2005 e il mondo seriale non era intasato come quello attuale e il pubblico di riferimento era perloppiù adolescenziale. Si cercava solamente una semplicità della storia con al centro molto “drama” (Oc-Wanowanoway). Fra le pochi eccezioni c’era stata “Twin Peaks” di quello stravagante di David Lynch.
Perché “Lost” ha preso diversi spunti dall’opera di Lynch, dove vince il surreale e il mistero di altri mondi, che si interconnettono gli uni agli altri e che corrompono i miseri umani coinvolti, designandoli come marionette. J.J Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber creano una serie dove il centro della narrazione non diventerà un personaggio o un passaggio di trama, ma un luogo. L’isola.
Uno scenario paradisiaco, da film americano, dove però la bellezza naturale non conduce altro che a dolore e smarrimento. La storia è ben nota: i sopravvissuti del volo Oceanic 815 si adattano alla vita sull’isola su cui sono precipitati mentre cercano il modo di tornare a casa, mentre sull’isola ci sono più pericoli che durante la seconda guerra mondiale. L’altro riferimento, oltre a “Twin peaks”, è evidentemente “il signore delle mosche”.
Consapevole dello sviluppo dell’intera serie, è davvero interessare interrogarsi sulla funzione di questa prima stagione, che appare evidentemente come una lunghissima introduzione. In questi primi 25 episodi viene svelato forse 1/10 dei misteri che arriveranno successivamente: non si mostrano “the others”, a parte Ethan, e non si fa menzione del progetto Dharma. Gli unici elementi di mistero sono Danielle Rousseau, il fumo nero ed alcuni accenni di stranezza geo-naturale dell’isola.
In questo senso il rischio di fallire era molto alto nel non riuscire a coinvolgere senza un reparto consistente di scene action. Ma a compensare ci pensa una scrittura psicologica meravigliosa, dove i personaggi contano più degli avvenimenti, qualità assoluta da cui la maggior parte delle serie contemporanee dovrebbero prenderne spunto…
Immediatamente voglio trattare quello che per me è il punto debole delle prime 2 stagioni: il trattamento specifico di alcuni personaggi e il disinteresse totale di altri. E’ comprensibile come per sorreggere un magnifico intreccio come questo la storia non possa concentrarsi su troppi personaggi, così da sancire il fallimento della trama…vero Arrow?
Giustifico completamente questa scelta e mi sta bene che durante questa prima stagione Jack, Kate e Lock abbiano più flashback di Sun o Hurley. Ma trovo sgradevole sapere che dei 48 sopravvisuti solamente 13 siano inquadrati continuatamente, più altri tre personaggi (lo sceriffo morente, Rose e Artz) facciano una comparsata.
Quindi 16 su 48, con i restanti 32 sul fondo dell’inquadratura. Problema che gli sceneggiatori cercano di giustificare con l’idea del “club esclusivo” dove specificatamente i 13 personaggi menzionati portano avanti la storia.Non sarebbe stato meglio far sopravvivere la metà di quei 48? Alcuni di loro li facevi morire come da copione e questo senso di forzatura di scrittura non si sarebbe manifestato.
A parte questo, la trama è pressoché perfetta nel primo terzo di questa stagione perché fin dall’episodio pilota percepiamo l’angoscia. Jack vede suo padre scomparire nella foresta, il fumo nero spaventa mortalmente i sopravvissuti e i pericoli contano anche di animali selvatici ed orsi polari. Per non parlare di Ethan che ci da la prova che loro non siano i soli su quell’isola.
Ma la parte centrale perde parte di quell’angoscia che definisce “Lost” come una serie drammatica e psicologica. Senso del pericolo che poi ritorna nel finale con la Rousseau che cita i veri nemici, ”the others”, che però dopo l’omicidio di Ethan non si presentano più. E come prova della splendida scrittura citerò il modo in cui questo mistero venga introdotto nella testa dello spettatore con un senso di implicito misterioso. Sayid trova la Rousseau perché cade in una sua trappola…ma come è finito solo nella foresta?
Il torturatore iracheno si sente in colpa per aver fatto del male a Sawyer, che a sua volta, voleva farsi punire per la persona che era diventata, non negando di non possedere l’inalatore per Shannon. Qualunque altro mediocre avrebbe fatto incontrare la Rousseau con i protagonisti in modo molto diretto e convenzionale. Una gita nella foresta mentre cercavano Ethan, suppongo.
Nel finale si riassapora la paura e dove si comprende come i veri nemici siano loro stessi. Danielle Rousseau ci introduce il sospetto che questi “the others” non esistano, ma dall’altra parte Ethan ha impiccato Charlie ad un albero ed ha rapito Claire in cinta. E quindi da spettatori come dobbiamo porci? Anche se personalmente avrei accorpato i tre episodi dell’esodo in due, eliminando le scena lontane dall’azione, quelle sulla spiaggia.
Mi ha dato molto fastidio che il fumo nero compaia almeno 4 volte nelle prime due puntate, per ricomparire una volta nelle successive 15 e una volta negli episodi finali, esplicando così la sua funzione narrativa e smascherando la magia. Alcuni penseranno che sia puntiglioso e lo sono per una ragione: quando si tocca l’eccellenza si passa al setaccio ogni dettaglio. Non posso accettare cadute di stile, neanche minime.
Parliamo dei personaggi: saggiamente i creatori ci mostrano davvero poco di ognuno dei 13 principali e come detto, alcuni spiccano più di altri per evidenti ragioni. Ho trovato davvero profondo la trattazione di messaggi politici scomodi, come la situazione della donna in Corea o il sospetto preventivo verso un iracheno.
Tutti i personaggi hanno qualcosa da nascondere ma lentamente la mala sorte comune li avvicina, esempi perfetti sono il lancio della mela di Sayid a Sawyer o l’aiuto di Jin alla zattera di Micheal. E in effetti il tutto si riduce alla frase di Jack:<<Si vive insieme e si muore da soli>>. Quando, come nel caso di Sayid, si ci allontana dal gruppo si incorrono in pericoli fuori e dentro di noi, ma allo stesso tempo si fanno scoperte che porteranno avanti la trama.
Dualismo esplicato nel mio personaggio preferito, John Locke, che usa il gruppo per arrivare alla fonte del sapere dell’isola. Sacrifica addirittura Boone, un bravissimo Iam Somerhalder, perché nel sogno, alla scoperta di uno degli aerei di cocaina nigeriana, Boone era sanguinante. I personaggi, nessun escluso, hanno vite spezzate e per questo sono stati scelti dall’isola.
La predestinazione, in contrapposizione al libero arbitrio, tema che ritornerà prepotente nelle stagioni successive. Locke il credente, Jack lo scettico, Sawyer l’anarchico, Charlie il rabbioso, Claire la buona, Hurley la vittima, Jin lo straniero, Kate la codarda che fugge dalla vita…
La trama riesce ad inserire perfettamente tutti i personaggi nei loro ruoli: fin dall’episodio pilota i creatori ci fanno odiare Shannon e ci riescono perfettamente, perché lei rappresenta la futilità e la distrazione dal dovere (di Boone e in seguito di Sayid). Così Hurley che diventa il comic relief, e nonostante io disprezzi qualsivoglia comic relief in questa prima stagione il fastidio è solamente accennato. I rapporti umani sono talmente dinamici da non poterli sintetizzare in una riga, come succede nel 90% delle serie tv attuali.
Questo dovere narrativo, srotolare i rapporti fra i personaggi, prende troppo la parte centrale. Sarebbe bastato inserire qualche pericolo in più: mostrare di più il fumo nero o far intravedere la Rosseau nella foresta, prima dell’incontro con Sayid.
Sulle storie dei personaggi ho davvero poco da criticare, anche di quelle che mi piacciono di meno, intravedo la loro necessaria funzione narrativa, come nel caso di Claire o di Hurley dove per le prime volte viene urlato il concetto di predestinazione magica. Le rimanenti sono davvero toccanti, ognuno a suo modo, e riscattano spesso l’apparenza dei personaggi.
Sawyer, a prima vista superficiale, viene riscattato dal passato tormentato, dove la punizione suprema è diventare il mostro che gli ha distrutto la vita. Anche Kate viene aperta all’empatia dello spettatore rendendola l’antieroe perfetto, la cat woman dell’isola, cattiva ma non per scelta, egoista quando non viene supportata.
Voglio dare una brevissima opinione sui i personaggi da me odiati e preferiti. Nel complesso sono tutti ben scritti, nessuno di loro è forzato, e questa cura la troviamo nei personaggi secondari di Rose e dello sceriffo morente.
I preferiti di questa prima stagione sono, nell’ordine: Locke, il padre di Jack, Boone, e Sawyer. Gli odiati risultano solamente tre: Shannon e Micheal, con il primo posto alla detestabilissima biondina, ed Hurley, con un distante terzo posto. Ai miei occhi sono sempre stati i personaggi umani più mediocri ed egoisti. Non a caso nella stagione 2…
Voglio concludere sulla regia e sulla location principale: l’isola. Qualcuno ha paragonato la prima stagione di “Westworld” a “Lost”. Certo, il paragone diventa quasi obbligato considerate le citazioni ma in realtà questo non sussiste per una semplicissima ragione. In “West world” sono i personaggi ad esplorare lo spazio, in “Lost” l’opposto: è l’isola a camminare dentro di te.
Le inquadrature di “Westworld” raramente sono ariose, mettendo al centro il parco, l’attore inquadrato cattura sempre il centro dell’azione, così come sono inesistenti piani sequenza. In “Lost” l’isola fagocita i protagonisti e si nutre delle loro vicende. Quante volte i registi si soffermano sulla ripresa degli enormi spazi aperti, sulle fronde degli alberi e su tutti gli aspetti naturali dell’isola? E’ una costante di tutta la serie.
Sempre a proposito di regia, citerò le mie scene preferite: la confessione di Sawyer a Jack di aver conosciuto suo padre, la ripresa dal basso di Charlie che ritrova la droga nelle statue della madonna e la parte di Boone e Locke con l’aereo appena precipitato, l’ultimo incontro con Ethan e l’esplosione della botola.
Per ora è tutto, ci ritroviamo per la seconda stagione. Bella ragà!
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