(S.MORDINI)
Hai l’abbonamento mensile e vai al cinema più per noia che per altro.
Sei costretto a una scelta: “Amici come prima” o l’ennesima produzione italiana che tenta di fare un thriller? Non vi mentirò, sono stato tentato dalla viscida reunion BoldiDesica. Due ore dopo esci dalla sala con la paura che gli estranei non siano quello che sembrino…
Stefano Mordini ha fatto un eccellente lavoro, è sia regista che co-sceneggiatore della pellicola, e come Laugier per Ghostland, il film ne guadagna di coerenza interna. Nel suo insieme l’opera spicca per la prepotenza della scrittura, e se nei primi minuti compare la consueta soporifera struttura a flashback il ritmo si riprende immediatamente e la location principale, l’appartamento del protagonista, diventa luogo pregnante di significanti e passaggio imprescindibile della narrazione.
Adriano Doria, interpretato da Riccardo Scamarcio, è un imprenditore di successo che ha una relazione extraconiugale con la fotografa Laura, Miriam Leone. E quando viene trovato accanto al suo cadavere, in una stanza d’albergo chiusa dall’interno nello stilema classico del delitto a porte chiuse, viene accusato dell’omicidio.
In attesa dello svolgimento delle indagini, Adriano si affida al suo avvocato che vuole anche avvalersi dell’esperta regina del foro, Virginia Ferrara, che ha saputo come la procura abbia trovato un super testimone che può sancire la condanna definitiva di Adriano. La donna si precipita da lui per imbastire insieme una strategia difensiva in meno di tre ore.
L’avvocatessa non si perde in convenevoli e con durezza dubita della storia del suo assistito perché ritiene che sappia più di quanto abbia dichiarato. Esprime il fondato dubbio che Adriano Doria ometta informazioni, come l’identità del ricattatore che ha condotto lui e la sua amante in quell’albergo e che, sempre secondo la dichiarazione di Doria, avrebbe ucciso Laura incastrandolo per l’omicidio.
A queste insinuazioni l’imprenditore è costretto a raccontare una “strana brutta storia”, direbbe qualcuno. Al trascorrere dei primi dieci minuti il film inizia, sia dal punto di vista della sceneggiatura che da quello registico. Le riprese dei sentieri scoscesi e delle vette trentine affascinano ed inquietano fin dalla prima inquadratura e fanno da sfondo a vicende che diventano sempre più torbide minuto dopo minuto.
Secondo il racconto del Doria, una mattina di qualche mese prima lui e Laura si stavano recando all’aeroporto quando accidentalmente, per via di uno stambecco che ha tagliato loro la strada, hanno avuto un incidente con un’altra automobile che sopraggiungeva dal lato opposto.
Questo è uno snodo fondamentale della trama: secondo l’imprenditore fu Laura a convincerlo a non chiamare né la polizia né l’ambulanza: entrambi erano sposati e dovevano difendere le apparenze, non potevano essere coinvolti in indagini ufficiali, nemmeno come testimoni informati dei fatti. Vogliono fuggire dal luogo dell’incidente ma l’auto non parte perché nello scontro si è guastata. Bloccati con l’uomo che accidentalmente pensano di aver ucciso, decidono di far sparire l’auto con il corpo all’interno e di chiamare un carro attrezzi per la propria autovettura.
Si dividono i compiti; Laura si occupa del carroattrezzi, Adriano del resto. Ma sopraggiunge qualcuno: è un giovane uomo del luogo, fa domande ma Laura ha la scusa pronta e sembra riuscire a non insospettirlo, mentre lui guida per trovare il luogo adatto per nascondere le tracce. Laura incontra un secondo uomo più anziano, che con fare affabile si presta ad aiutarla in tempi celeri. Lei accetta e condotta alla casa dell’uomo e di sua moglie, scopre come questi non siano altro che i genitori di Daniele Garri, la vittima dell’incidente.
Fabrizio Bentivoglio e Maria Palato, che interpretano i coniugi Garri, sono il vero motore di questa storia. La loro ossessione per scoprire che cosa sia successo a Daniele, che li porterà ad un passo dalla follia, scatenerà un effetto a catena disseminando nella storia trappole narrative e colpi di scena.
Adriano si libera dell’auto spingendola nel lago, eppure nel buio totale sente il rumore di rami spostati da una presenza. E questo avvenimento sembrerebbe confermare l’ipotesi di un testimone invisibile, da qui il titolo dell’opera, che abbia assistito all’intera scena dell’incidente e che diventa giuridicamente il ricattatore. E se per Adriano non fila tutto liscio, anche Laura lascia diversi sospetti a Tommaso Garri, dall’accendino da uomo di un auto che dovrebbe appartenere alla sorella, all’errata inclinazione del sedile di guida.
Da qui in poi la storia diventa il numero di un venditore di fumo; le testimonianze si accavallano, realtà e verosimiglianza si fondono con le teorie della difesa, che più di svelare la verità vuole aprire a espedienti processuali. Se la prima parte, nonostante l’avvincente narrazione, rimanga comunque molto convenzionale, la seconda è un vero gioiello per le ragioni espresse nelle righe precedenti. La verità non ha più valore perché l’unica cosa che conta è una storia credibile piena di “dettagli”, come ripete spesso Virginia Ferrara.
I personaggi del presente, avvocato e cliente, giocano con gli avvenimenti ma lo spettatore viene travolto da un’incertezza cronica, nell’accezione più positiva. La regia di Mordini e la recitazione di Scamarcio spingono in questa direzione: ogni volta che Adriana Doria viene inquadrato si alternano momenti in cui appare candido come neve, a scene con atteggiamenti degni dell’assassino.
Verso la metà della pellicola la mia mente febbrile ha creato un simbolismo fra il ruolo della conoscenza e l’animale colpito durante la scena dell’incidente. Una metafora: uno stambecco si frappone a due direzioni opposte, a due punti di vista soggettivi che non si amalgamano e che anzi collidono portando alla morte del più debole sopraffatto dal più forte. Così si raggiunge il potere, non la conoscenza.
Potrei esplorare nel dettaglio il seguito della vicenda ma non avrebbe senso, almeno non quello narrativo, perché l’opera “scherza” giuridicamente sui fatti accaduti e solo chi ha seguito cinematograficamente la vicenda può stare al passo con questo metaforico e distorto gioco di “specchi”, sulla falsa riga della nota scena de “The lady from Shanghai”.
Quindi la sola cosa di cui voglio parlare, consigliandovi comunque di recuperare l’opera, è il finale: in qualche modo l’avvocatessa Ferrara riesce ad ottenere la totale fiducia del suo assistito e in sala, nella mia poltrona vip, sono rimasto sopraffatto da un’ansia del tutto ingiustificata. Soltanto nella scena in cui Adriano Doria, glaciale, spiega di aver spinto l’automobile nel lago con Daniele Garri ancora vivo, ho capito da dove venisse quel prurito molesto.
La reazione violenta di Virginia Ferrara ha composto quel puzzle di incongruenze che avevo raccolto fino a quel momento. Mi sono ricordato le parole di Tommaso Garri che ha descritto la moglie come fosse una straordinaria attrice in gioventù.
In sala ho affermato ad alta voce:<<E’ la madre del ragazzo morto!>>.
La fake avvocatessa Ferrara è talmente brava che non solo riesce a convincere Adriano a confessare l’omicidio di Laura per poter coinvolgere Tommaso Garri al processo, in una linea difensiva disperata, ma anche a farsi indicare su una cartina dove Adriano abbia fatto sparire l’auto con dentro il cadavere di Daniele Garri, suo figlio!
E’ vero, dall’esterno può sembrare un gesto stupido che stona con il carattere machiavellico di Adriano Doria ma dobbiamo ricordarci come i grandi uomini di potere soffrano di megalomania e si fidino solamente di individui loschi quanto loro, prendendosi dei rischi perché per tutta la vita l’hanno fatta franca.
La madre di Daniele Garri se ne va e raggiunge suo marito che da pochi mesi vive di fronte all’appartamento di Adriano, il quale scopre come il block note che l’avvocato continuava a scrivere sia completamente bianco… Allora capisce come quella penna non fosse altro che un microfono, mentre la donna che si era presentata come Virginia Ferrara si strappa una maschera di cellulosa dalla faccia, come Eva Kant!!!
Voglio chiudere con una menzione sul reparto attoriale: sono stati tutti bravi, anche la comparsa che interpreta il poliziotto in tre scene di pochi secondi. Spiccano evidentemente Maria Palato, impeccabile nel doppio ruolo!, e la sorprendente Miriam Leone, Miss Italia molto gnocca che mostra un certo talento recitativo.
Fabrizio Bentivoglio è una certezza in un ruolo che gli sembra cucito addosso mentre, a malincuore, Riccardo Scamarcio risulta il meno brillante. E’ bravo ma non bravissimo, anche perché surclassato per tutta la durata della pellicola dalla Palato.
Insomma avete capito, è un bel film!
Film pietoso