(GUADAGNINO, 2018)
Sarebbe troppo semplice amare o demolire quest’opera controversa. Dentro di me sento lottare due voci dalle opinioni opposte: la prima mi costringe a gettarlo direttamente nell’umido, la seconda mi sussurra che forse quello che appare sia solo un diversivo e che sottopelle ci sia dell’altro. Le mie parole risulteranno futili perché mancherò le intenzioni dell’autore, anche se sospetto che Guadagnino stesso le abbia mancate in prima battuta…
Luca Guadagnino ha portato in sala un film d’autore, nel senso pieno del termine, spacciandolo al meraviglioso pubblico generalista. C’erano tutti gli elementi per farlo: il remake di un capolavoro dell’horror italiano e internazionale, lo stesso Dario Argento alla produzione e l’opinione pubblica che lo elevava a capolavoro ancor prima di vederlo.
Suspiria c’entra con l’opera originale come io con Bruno Vespa. La componete visiva della pellicola, in tutti i suoi aspetti, emana un fascino straordinario. Mi ricorda Cate Blanchett; una bellezza i cui canoni estetici non corrispondono a quelli oggettivi, se mai esistano, eppure ti rimane in testa più di altre modelle.
Guadagnino ha giocato con la storia, e al pari di un elastico, l’ha tirata e piegata in tutte le direzione senza apparente logica…ma se l’avesse? Perché io non posso credere che un professionista del settore, nonostante non nasca con il talento della scrittura, non sappia riconoscere le basi della sceneggiatura. Questo film ha una scrittura terrificante, criptica e intenzionalmente disturbante e sono stato costretto ad una seconda visione per accertarmene.
Arrogante vuol dire arrogarsi un diritto che non si possiede.
Guadagnino spezza TUTTE le regole del cinema narrativo. Non l’avete notato? Allora esploriamole insieme e dissezioniamo questo sedicente remake. La prima cosa sono i dialoghi ridotti all’osso e quei pochi non chiariscano mai la situazione, a parte tre o quattro scene. E questo non sarebbe un problema se l’intreccio di base fosse semplice ed intuitivo. Voglio sfidare Paul Haggis a sceneggiare QUESTA STORIA senza uno straccio di spiegazione di dialogo.
Ci sono delle streghe nella Germania del 1977, negli anni della banda Baader Meinhof,(NON LI CONOSCI???? CAZZI TUA!) che hanno formato una congrega sotto la copertura di una scuola di danza. Sono colpevoli di diversi attentati,(PER NON SO QUALE RAGIONE) e stanno cercando delle ballerine particolari per preparare uno spettacolo, Volk.
In realtà lo spettacolo è un rito in cui la magia viene rilasciata nella purezza della danza, per curare una loro amica strega che sta morendo e che vive in una stanza segreta sotto il pavimento. Le streghe stanno provando questo spettacolo da quarant’anni perché le ballerine protagoniste non sono mai all’altezza, perché non sono abbastanza pure(E QUALI SONO I PARAMETRI?) affinché la magia si nutra di loro. Due di queste, Patricia e Olga, impazziscono e finiscono male.
Tutto cambia quando arriva Susie Banion che sembra essere la prescelta. Avvenimenti spiacevoli avvengono ma uno psichiatra, che aveva in cura Patricia, si convince che la follia abiti quella scuola di danza.(ALLA FACCIA DELL’APPROCCIO SCIENTIFICO!). Per cui convince Sarah, l’amica di Susie, a fare delle indagini per scavare a fondo, la ragazza trova le prove ma non basta.
Volk viene eseguito e sembra che il rito si stia concludendo quando Susie spezza la connessione improvvisando dei passi. Lo psichiatra ha l’ennesima prova della colpevolezza delle streghe,(E DOVE L’AVREBBE VISTA?) e non lo nasconde(SCALTRISSIMO!). Per questo viene scelto come testimone del rito, come punizione.
Il rito è in preparazione quando Susie si presenta(SENZA CHE NESSUNO LE ABBIA MOSTRATO LA STRADA DELLE STANZA SEGRETA), ed è pronta a sacrificarsi. C’è anche Helena Markos, la strega malata, che tutti chiamano Mater sospiriorum(QUESTA DIVINITA’ DI CUI NON SAPPIAMO ASSOLUTAMENTE NULLA). Durante il rito succedono “cose”, quello che conta è il cliffhanger spuntato dal nulla.
Susie in realtà è la mater sospiriorum(PERCHE’, QUANDO, COME???).sti cazzi e fa una mattanza di sangue e liquidi vari.

Dakota Johnson as Susie stars in Suspiria
Capite cosa intendo? Paradossalmente l’opera di D.Argento si sarebbe potuta girare senza dialoghi chiarificatori perché la storia possedeva la semplicità della favola. Guadagnino cerca di rimpiazzare la parola con le immagini e questo si trascina dietro “buchi di sceneggiatura” che si formano autonomamente con la forma di omissioni e forzature, perché l’immagine NON può rimpiazzare la parola, gli si deve affiancare.
Un esempio su tutti: la scena nella caffetteria fra lo psichiatra e Sarah. Guadagnino ha dovuto inserire forzatamente questa scena per portare avanti la storia, comprimendo informazioni in un minutaggio ridicolo. Perché Sarah non interroga lo psichiatra sulle sedute dell’amica Patricia, che lei cercava da settimane? Come mai lo psichiatra, uomo di scienza, in dieci minuti di film ha creduto alle parole di una psicolabile senza nessuna prova effettiva?
E ancora: perché Sarah riesce a trovare la stanza segreta facendo un conto alla rovescia di 66 passi…da chi è stata informata? Forse l’ha letto sul diario di Patricia nell’incontro precedente con lo psichiatra, eppure la scena non lo sottolinea perché l’inquadratura pulita e geometrica del regista non si deve toccare…
Se apprezzo la sperimentazione autoriale posso affermare come fallisca su tutta la linea, e se anche ci fosse riuscito ne sarebbe uscito sconfitto il ritmo della narrazione. Perché Guadagnino non si limita a tranciare i dialoghi, come neanche il buon Felipe Melo a gamba tesa, ma registicamente cerca di rendere le scene con tagli di montaggio sempre più arditi e poco fluidi, con inquadrature molto evocative ma poco esplicative.
A ragà. non se sta a capì un cazzo…
In questo senso il regista per il puro equilibrio registico-geometrico fa compiere agli attori gesti inverosimili che li avvicinano più al teatro che al cinema. Quello che però mi ha dato più fastidio è stato l’uso della voce fuori campo per introdurre un dialogo in arrivo.
Non avete idea di cosa stia parlando? Prendete una scena qualunque. Noterete che la regia non si sofferma mai sull’attore che ha la battuta, la conseguenza è una voce fuori campo che anticipa o posticipa la battuta stessa e anche quando viene percepita simultaneamente, l’attore non viene mai inquadrato mentre la pronuncia.
Il senso di estraneità…
Questa tecnica è eccellente quando vuoi instillare l’atmosfera di angoscia perché estranea lo spettatore, in quanto gli occhi e le orecchie non vengono usate allo stesso modo. Adoperare saggiamente questa tecnica è segno di grandissima padronanza del mezzo, ma quando la metti “a cazzo di cane” non mi sta più bene.
Sembra quasi che Guadagnino debba ostentare di essere diverso da gli altri, anche quando non c’è ne bisogno. Prendete la scena fra Susie e Madame Blanc, negli alloggi della stessa Blanc. Per una volta la scena è fluida, tutto al suo posto. Ci sono dei dialoghi, si comprendono alcuni aspetti della storia(vedi che lo sai fare!) ma poi il nostro rampante autore deve chiudere la scena con questo primo piano accelerato di Tilda Swinton, con un movimento di macchina che mostra come i due personaggi in realtà siano distanti almeno due metri.
Perché questo virtuosismo che vanifica la coerenza registica dei tre minuti precedenti? Questa folle rincorsa al simbolismo mi lascia stupefatto. Nel mezzo di un dialogo, che non presuppone un tono drammatico, si eccede in un primo piano su un oggetto che dovrebbe rappresentare “qualcosa”, in chiaro stile scassacoglioni Godard/Nouvelle Vague.
Sapete cosa porta tutto questo? Che si perda il centro della narrazione, il taglio che la storia deve prendere. Perché, se si rafforza l’atmosfera misteriosa, quasi evanescente, dall’altro sembra di stare in un labirinto dove non si riesce a vedere ad un palmo di mano per la nebbia fitta. Lo spettatore viene ipnotizzato.
Allora questo è bene, il cinema deve catturare tramite l’immagine, direte voi.
Non proprio, risponderò io, il cinema deve catturare la mente di chi lo guarda con immagini CHE ABBIANO UN SENSO COMPIUTO AFFIANCATE L’UNA ALL’ALTRA!
Siamo arrivati al più grande difetto della sceneggiatura: il personaggio dello psichiatra, dr.Josefz Klemperer. Perché nonostante le righe precedenti, la baracca si poteva salvare: rendere l’intero mondo delle streghe come il centro portante della narrazione. Guadagnino fallisce anche su questo e inserisce una lunghissimo approfondimento che non ha alcun impatto, narrativo ed emotivo sulla storia principale. Immaginate di eliminare il personaggio del dottore e tutto quello gli orbita attorno.
Sarebbe cambiato qualcosa? Nein! La sottotrama del dottore è così interessante che non l’ho inserita nella sinossi della trama. II film però ne avrebbe giovato: in primis nella lunghezza, due ore e mezza con quel montaggio risultano insostenibili, e per quel che riguarda la coerenza della storia, nonostante l’autorialità, sarebbe rimasta incentrata saldamente sulla scuola di danza e i suoi interpreti.
Rimane un’ultimo aspetto da trattare. Guadagnino permea l’atmosfera di un qualcosa che sarebbe dovuto essere un di più alla storia, ma per come è stato usato diventa un malus. Gli incubi che le ballerine fanno nel sonno si scoprono essere ricordi che le streghe innestano magicamente nelle loro menti per prepararle al rito. Intuizione interessante, attraverso gli incubi è possibile scavare nel passato delle streghe così misteriose ed affascinanti.
Cazzate! Di immagini ce ne sono quante ne vuoi ma non si capisce una mazza! Non si inquadra mai un viso o un dettaglio che ci permetta di farci strada in questo misterioso mistero sempre più misteriosamente misterioso. Dovrei trattare della protagonista, Susie Bannion, che infine si rivela essere la mater sospiriorum, vero? Lo sapeva fin dall’inizio ed è stata al gioco? O la consapevolezza è cresciuta gradualmente?
Guadagnino non spiega una fava, non posso aiutarvi…
Voglio chiudere su quelli che ritengo essere gli aspetti più positivi della pellicola. Ho amato la fotografia e la recitazione complessiva. Sono tutte bravissime, da Tilda Swinton a Dakota Johnson passando da Alek Wek e Ingrid Caven. Ma le scene che mi hanno colpito si possono contare sulle dita di una mano.
Ovviamente devo citare il montaggio alternato del ballo/omicidio di Olga, decisamente la scena migliore del film. Mi sono anche goduto quella brevissima scena, citata precedentemente, fra Susie e Madame Blanc. Nonostante i buchi di sceneggiatura, mi ha messo tensione la scena in cui Sarah scopre miracolosamente il passaggio segreto attraverso lo specchio ed esplora quella specie di salotto/museo.
Ho apprezzato una delle scene conclusive, quella “dell’ultima cena”, se così possiamo definirla. La scena in cui le streghe e le ballerine cenano insieme in quel ristorante, con quel meraviglioso scambi di sguardi fra Susie e Madame Blanc. Poi c’è il rito orgiastico(lo si può definire così anche se peni eretti?). La scena è sicuramente evocativa ma non mi ha impressionato, ci è riuscita invece la realizzazione di Volk davanti al pubblico borghese.
Tirando le somme: questo film vuole sviscerare il Deliro con una chiara funzione metacinematografica. Un Delirio che allontana qualunque tratto di convenzionalità; dal lato tecnico, passando dalla narrazione per finire alla fruizione dello spettatore. Forse è questa la chiave per leggere l’opera?
Il Delirio è la verità che dice una bugia…
Lascia un commento