Questo sarà un articolo molto particolare che eccezionalmente vuole esplorare le dinamiche dietro al mondo del cinematografo. Parliamo della scrittura ed anticipo le potenziali critiche…chi sei tu per dire come si fa? Ragazzuoli, ho avuto esperienze nella macchina produttiva cinematografica indipendente come sceneggiatore e so un paio di cose al riguardo.
Su tutti una massima…ci sono delle regole da rispettare perché non puoi fare il c*azzo che ti pare. Per dimostrare quali siano le basi di una sceneggiatura, e di conseguenza su come NON bisogna scriverla, abbiamo due fulgidi campioni, il primo dal mondo della serialità e il secondo dal presunto “cinema impegnato”: “The Frankestein chronichles”, specialmente la stagione 2 con rimandi alla 1, e “Mother!” film del 2017 di Darren Aronofsky.
1)Narrazione a strattoni
Questo è il macro sintomo di ogni sceneggiatura precaria. Ma attenzione a confondere una sceneggiatura fallace con una proposta narrativa d’autore con al centro la destabilizzazione strutturale intenzionale…come fare a riconoscerlo? Bisogna valutare la coerenza interna, ovvero se la modalità di narrazione corrisponda ai contenuti che si raccontano in tutto il percorso, dai background dei personaggi ai dettagli di trama.
La maggior parte delle volte l’infezione mortale si manifesta con il cambio di più generi. In “The Frankestein chroniches” è davvero pessima, con un valore sul confine dell’innominabile. Dal finale della prima e per tutta la seconda stagione, la trama non risponde mai alla dinamica causa-effetto.
L’esempio migliore: nel finale della prima stagione il personaggio di Sean Bean diventa un morto che cammina, una creatura alla Frankestein letteraria, e giura vendetta contro il suo creatore, il chirurgo che lo ha reso tale. Per più di ¾ della seconda stagione il tema viene fatto cadere. In questo senso potrei citare tutte le puntate della seconda stagione, ma eviterei per la decenza.
In “Mother!” è tossica al solo pensarci, figurarsi al vedersi. Se in “Frankestein chronicles” era una caduta involontaria, qui è intenzionale. “Quindi è un prodotto d’autore come detto sopra”, qualcuno obbietterà. No, perché l’interesse che il film suscita sta nel sorprenderti continuamente con trovate sempre più assurde.
La coerenza, ovvero quello che giustifica il percorso narrativo, risulta inesistente nei fatti, come per l’ottava stagione di “Game of thrones” scritta da chi sapete voi. “Mother!” parte come un film drammatico-angosciante e lo rimane fino a metà con un certo specifico sviluppo, ma nei successivi 60 minuti cambia diversi generi senza una ragione: dall’horror, il surreale, lo zombie movie, il war movie, l’onirico fino al biblico.
2)La prepotenza della messa in scena su qualunque altro aspetto
La ricerca visiva soppianta tutti gli altri campi; montaggio, scrittura e recitazione. L’unica differenza è la qualità ed il talento di chi sta dieto la macchina da presa, con la conseguente arroganza. Aronofsky è stato un autore favoloso e quindi si sente in dovere di sfondare qualunque decenza (la scena della festa) mentre i vari registri della serie peccano per quanto è nelle loro possibilità tecniche. L’aspetto peggiore è che spesso alla base ci siano delle intenzioni lodevoli, ovvero quella di rendere l’atmosfera avvolgente.
In “Frankestein chronicle” risulta evidente questa dinamica perché il vero protagonista della serie non è Sean Bean o il mistero che deve risolvere, ma la Londra del 17esimo secolo con la sua sporcizia e povertà, realismo storico che ho davvero apprezzato. Peccato che non ci sia altro. Nella prima stagione si tentava timidamente un accenno di trama, nella seconda diventa inesistente.
Per quanto riguarda “Mother!” la situazione è diversa, l’egocentrismo di Aronofsky vince su tutto: sulla storia, sui personaggi, sull’atmosfera, sulle situazioni e l’unica cosa che rimane allo spettatore dopo la fruizione è:”Abbiamo capito che sei bravo ma non ci abbiamo capito un c*azzo di niente, s**onzo”. Raramente ho visto questa autocelebrazione, neanche nella “Grande bellezza” di Sorrentino.
2a)La mancata evoluzione di personaggi e situazioni
Diretta conseguenza del punto precedente è l’immobilità della sceneggiatura. Il perché succeda è semplice: la scrittura rende dinamica la vicenda e questo non permette alla regia, spesso perfezionista, teatrale e ridondante di essere al centro. Un esempio calzante “The perfection” dove per giustificare l’inquadratura finale si forza la storia.
Ma tornando ai nostri fulgidi campioni, in entrambi i casi i registi non possono fare a meno di indugiare ossessivamente sui loro attori protagonisti, Sean Bean e Jennifer Lawrence, che percorrono spazi senza parlare e sempre con queste facce angosciate. Angoscia che però non viene mai supportata dal realismo degli eventi.
In “Frankestein chronicles” ci potrebbero essere le ragioni ma la trama non le sviluppa. Io abbozzo una soluzione: all’inizio della seconda stagione, il chirurgo che lo ha creato, avrebbe potuto mandare delle spie per cercare Sean Bean. Questo avrebbe reso palpabile e veri simile la sua paura di incontrare persone.
In “Mother” il personaggio di Jennifer Lawrence parte angosciato senza una ragione specifica. Background del personaggio, dirà qualcuno, D’accordo, risponderei io, ma allora giustificami quel background con un indizio, un’azione o un riferimento che però non deve diventare uno spiegone.
2b)Recitazione nulla
Appare evidente come secondo le ragioni sopra indicate, la qualità della recitazione dell’attore non conti. Attori bravi o meno, non hanno modo di sviluppare personaggi senza “background”. Non mi stupisco che Lawrence-Bardem siano stati nominati ai Razzie Awards come peggior coppia dell’anno perché la colpa non è loro ma della sceneggiatura.
Lo stesso discorso per Sean Bean che per entrambe le stagioni non ha modo di lavorare sul ruolo. Eppure non è così raro che oltre al danno ci sia anche la beffa: in presenza di personaggi principali immobili e senza valore si ci possono affiancare personaggi secondari ben sviluppati, come la sartina in “Frankestein Chronicle” o il personaggio di Ed Harris in “Mother!”.
2c)I ritmi lenti senza ragioni giustificate dalla trama
Ancora in diretta conseguenza del punto 2, 2a e 2b troviamo lo stupro del montaggio che non viene usato nella funzione per cui è stato creato: dinamicità ed alternanza. Il montaggio non detta il ritmo perché serve solo come mero divisorio da una scena all’altra, perché rimpiazzato dalla regia, che di sua natura però non avrebbe quello scopo.
In effetti montaggio e trama sarebbero una coppia favolosa se usati professionalmente. Ce lo dimostra un filmetto come “Fast and furios: Hobbs and Shaw”, che nonostante una profondità dei personaggi dinamica quanto Maurizio Costanzo, riesce a tenere in qualche modo desta l’attenzione.
In “Frankestein chronicle” il montaggio è straziante per il suo coefficiente di noia. Il tempo sembra non scorrere per mancanza di avvenimenti ed emozioni. “Mother!” invece risulta leggermente meno straziante ma pessimo per le ragioni opposte: troppi avvenimenti che non si connettono fra loro buttati davanti ai nostri occhi senza un’apparente ragione. Ti senti bombardato di immagini come la cura Ludovico di “Arancia Meccanica”.
3)Necessità di ripetizioni, forzature e buchi di sceneggiatura
Le tre fasi d’oro della sceneggiatura sono: presentazione dei personaggi, sviluppo e conclusione delle vicende e dei caratteri. Cosa succede se ti perdi la presentazione dei personaggi e parte dello sviluppo? La struttura collassa su se stessa…ma riscrivere il tutto è fuori questione, ovviamente.
Allora si devono “acconciare” i problemi con reiteramenti di situazioni, per rendere le dinamiche più presenti, e forzature per connettere queste situazioni strampalate. Se reiteramenti e forzature non bastano si ci deve affidare allo spiegone o al buco di sceneggiatura. Vero, J. K. Rowling?
Quello che mi ha fatto perdere tutto il rispetto per “Frankestein chronicles” è stata il penultimo episodio della prima stagione dove il mistero sviluppato in diversi episodi, malamente ma con metodo, viene svelato in uno spiegone flashback di un minuto. O ancora: in tutta la seconda stagione l’unico modo per portare avanti il mistero è l’uso di visioni uscite dal c*zzo di nulla.
What?
Questa è la morte della scrittura cinematografica. In “Mother!” per ¾ di film si ci chiede perché il personaggio di Jennifer Lawrence, invece di angustiarsi ed arrabbiarsi, non chiami la polizia quando degli estranei non sono i benvenuti. I casi citati sono i più evidenti ma entrambi i nostri fulgidi campioni conoscono perfettamente il putrido sapore del buco di sceneggiatura.
4)L’elemento ricorrente
Siccome loro stessi, i fenomenali sceneggiatori, si rendono conto di lasciare lo spettatore in balia della confusione, in queste tipologie di film “de m*rda” c’è sempre un elemento chiave, ricorrente per tutta l’opera, che in teoria dovrebbe spiegare tutto e che nella pratica non ci riesce.
In “Frankestein chronicles” è il sogno di Sean Bean che raffigura la spiaggia, simbolo dell’oltretomba. Se fotograficamente è molto evocativo a livello di trama è più accessorio di un accessorio. Non ha alcuna valenza sugli avvenimenti raccontati.
In “Mother!” sono addirittura due: la chiazza di sangue e le visioni della Lawrence quando chiude gli occhi. Questi due elementi vengono resi talmente centrali che lo spettatore impreparato cinematograficamente si rimprovera di non carpirne il valore. Ma questi elementi non hanno un reale impatto sulla trama e risultano la beffa, il fumo negli occhi di un sceneggiatore dilettante ed arrogante.
5)Le citazioni colte
Questo ultimo aspetto tocca solamente autori che vogliono sfondare il cosiddetto “cinema narrativo”, di scuola storicamente americana con il famigerato “montaggio invisibile”. Quindi, a nostro profondo malincuore, dobbiamo escludere “Frankestein chronicles”.
“Mother!” riesce nell’impresa, non solamente di non farci emozionare in alcun modo e di prenderci in giro con una presunta struttura narrativa d’autore, ma ha anche la boria di porsi sopra lo spettatore. Perché a dire di Darren Aronofsky il film è chiarissimo ad un esperto di conoscenza biblica.
In realtà non è così perché lo stesso Aronosfky interpreta l’interpretazione classica, ma supponiamo che sia così: questo è profondamente errato. I riferimenti extra trama ci devono essere in qualunque bel film ma non devono compromettere l’assimilazione della trama e dei personaggi. Per nessuna ragione.
L’esempio supremo: la rottura del lavandino dovrebbe significare il diluvio universale…a Darren ma te sei bevuto il cervello??? Ma che c*azzo sta’ a dì? C’è stai a perculà?
Questi 5 punti più corollari ci conducono verso l’inevitabile conclusione. Questi aborti di sceneggiatura portano a quello che non dovrebbe MAI succedere, a prescindere dal genere di riferimento o dai gusti personali.
Il patto di fiducia fra l’opera e il fruitore si spezza perché lo spettatore percepisce chiaramente l’irrealismo di quello che ha davanti e legge nitidamente le strutture dietro le immagini, che teoricamente dovrebbero essere la quinta essenza della verisomiglianza. Lo spettatore perde il suo ruolo, non empatizza e quindi non si emoziona…
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