(V.GILLIGAN)
Qualcuno a facce di nerd, quello generoso con i voti delle recensioni che stimo molto, nonostante l’8.5 a Justice League, disse:<<Gilligan sa quello che fa. Se ha ideato il seguito di Breaking bad ci sarà un motivo>>. Costui aveva perfettmente ragione, a fine visione mi sono state chiare le motivazioni di Gilligan:
NON SONO FAMOSO COME AI TEMPI DI BREAKING BAD! ERA BELLO ALLORA. NON DEVONO DIMENTICARSI DI ME, SENNò DEVO ANDARE DALLO PSICOLOGO, ha pensato il creatore di “Breaking Bad”
Compatitelo, poverino.
“El camino” deve essere giudicato da due punti di vista: il primo come sequel e collegamento con la serie “Breaking Bad”, aspetto che viene sottolineato vergognosamente nel titolo con l’aggiunta “A Breking bad movie”. Il secondo come film autonomo, valutato per il suo valore effettivo. In entrambi i casi fallisce per la pochezza di una storia che si poteva raccontare in un episodio speciale da 40-50 minuti.
Non che sia fatto male, diverte ed emoziona a spizzicchi e bocconi, ma il problema è che non ci da nuove dinamiche riguardo Jessie Pinkman, non ce lo mostra in una vera evoluzione. Prima di tutto sui 125 minuti totali, togliendo 5 minuti dei titoli di cosa, 40 sono flashback di qualcosa che già sappiamo o di cui non abbiamo il minimo interesse.
Flashback che giocano sul fan service e sulla necessità di riempire il minutaggio. Evidenza esplicitata quando dobbiamo valutare tutta la dinamica di Jessie nella casa di Todd.
Interessante? Divertente? D’azione? SI!
Ma al fine dell’empatia e allo sviluppo del personaggio? SCARSO.
Lo stesso vale per il finale con un duello western senza senso, giocattoloso, sullo stile di Tarantino, che scherza sulla trama e sulle aspettative dello spettatore.
Il problema maggiore è la volontà narrativa di descrivere semplicemente la settimana successiva all’ultima inquadratura di “Breaking Bad”. Pensavo che avrebbero esplorato temporalmente diversi mesi della vita del protagonista, mostrandoci più il suo futuro che il suo passato.
Pensavo che questi cercasse di redimersi, di essere quello che non era mai stato, ovvero una persona felice. In effetti lo fa ma nell’ultima inquadratura per due secondi. Wow!
Ma i 120 minuti precedenti a cosa sono serviti? A suscitare nostalgia richiamando tutti i personaggi più importanti della serie, soprattutto quelli morti. Pessimo. Una manovra che mi fa sottostimare Vince Gilligan, che avevo ammirato come autore coraggioso nella composizione e supervisione di una serie che non sottostava alla dittatura del CASH.
Ma parliamo degli aspetti positivi. Aaron Paul è davvero bravo e la sua recitazione è perfettamente in linea con quella della serie televisiva. Non è mai stato il mio personaggio preferito ma oggettivamente è stato in parte. La fotografia risulta interessante sottolineando lo stato d’animo del protagonista, così come il suolo americano sempre davvero evocativo.
La regia? Non all’altezza della serie. Spesso l’ho trovata sensazionalistica e barocca, con queste inquadrature ricercate anche quando non era necessario. Difatti Gilligan nasce come sceneggiatore ed anche se ha girato 5 episodi della serie, questo NON lo rende un regista bravo o straordinario.
Cos’altro dire? Un filmetto gradevole ma che con “Breaking bad” non ha in comune neanche l’unghia dell’alluce.
Non sono per niente d’accordo. Su nulla praticamente
In che senso? Cosa non ti ha convinto della mia recensione?