(F.RESINARO,2019)
Voglio congratularmi con Luca Barbareschi, non solo per la sua ispirata performance ma per il coraggio da produttore. Ha tutto il mio rispetto un uomo che decide di buttarsi con un frontale contro “il vecchio e polveroso cinema italiano”. E come in tutto il resto del mondo è riuscito a fare un film che non entri nei “sacri quattro generi”: Cinepanettoni, drammoni, gomorra e aborti, commedie di sto grandissimo cazzo.
Come in ogni bel film, la trama di Dolceroma è marginale e rappresenta il sottofondo per una cascata di emozioni che si alternano e si accavallano fra di loro. Potrei raccontarvi la storia senza farmi i soliti problemi spoiler/no spoiler. Potrei dirvi che la trama tratta della vita di uno scrittore e di uomo fallito che coglie l’occasione di cambiare la propria vita.
E quando scopre che il film tratto dal suo romanzo sarà un fiasco,”una merda”, allora inciampa nel caos degli imprevisti, nel caos della Vita. Potrei dirvi questo e mentirvi, perché quello è solo il guscio, l’esca che si presenta ad un pubblico sempre pronto all’azione.
“Dolceroma” agisce su tre livelli: il primo livello è la trama accattivante, un mezzo thriller, un po’ sensuale, un po’ surreale. Il secondo è il simbolismo dietro quel primo livello, con quei colpi di scena che ci fanno rivalutare tutto quello appena visto. E poi c’è il terzo livello: lo sputo negli occhi del cinema italiano, le testate in faccia al sistema.
“Dolceroma” asfalta, annienta tutte le figure del grande circo del luccicante mondo dello spettacolo. Non risparmia nessuno e lo fa con una cattiveria vera, non quella patinata alla Sorrentino. Nemmeno i morti meritano pietà perché diventano le vittime dei loro stessi sbagli e vengono sfruttate e abusate dagli altri per le loro scelte. Questo è il karma di “Dolceroma” perché il destino premia i più feroci.
In “Dolceroma” quello che sembra, raramente è: i ruoli possono scambiarsi e il lupo può travestirsi da agnello. Chi vince lo si vede solo al traguardo. E il premio qual’è?
Sto facendo qualcosa che non avrei mai pensato di fare: devo ringraziare Fausto Brizzi. Il buon Fausto è uno dei due sceneggiatori, insieme allo stesso regista Resinaro.
La sceneggiatura ha messo al centro del film il simbolo del potere, il “dolceroma”, il nome del miele che la famiglia Martello produce e vende. E’ un tocco di classe, soprattutto se con quel miele si ci debba lavare in una vasca di marmo, come per ricoprirsi d’oro.
Tutti i personaggi sono profondi e ben interpretati. Ognuno di loro rappresenta un aspetto di questa corsa sfrenata: Oscar Martello (Luca Barbareschi) è la furia, Andrea Serrano (Lorenzo Richelmy) è la lungimiranza, Jaracanda Ponti (Valentine Bellé) la malinconica innocenza, Raul Ventura (Francesco Montanari) il comunista represso, Helg Martello (Claudia Gerini) il disprezzo borioso. Ma tutti loro conoscono le regole del gioco, ricordatevelo.
Quindi per chi tifare? Chi sarà “lo scrittore”, colui che scriverà il copione verso la vittoria?
In ultima analisi i difetti, perché Il film non è perfetto. Ovviamente. Le pecche sono poche ma rilevanti.
In primis la CGI delle fiamme è qualcosa di agghiacciante, quasi amatoriale. Non si sono resi conto di quanto sembrassero finte? Poi il montaggio: a metà del secondo tempo inciampa spesso, il ritmo diventa troppo frenetico, per rallentare dove non dovrebbe, ma si riprende perfettamente per il finale. La regia non eccelle ma ci sono pochi punti in cui sembra davvero molto ispirata. Voglio lodare gli scenografi e i costumisti per l’ottimo lavoro.
Un’ultima cosa: chi parodizza Roberto Saviano ha tutto il mio rispetto. Non ho altro da aggiungere senza trattare specificatamente della trama. Andatevelo a vedere e scrivetemi le vostre sensazioni di un film che NON è alla portata di tutti.
Lascia un commento