“Bay city, altered carbon” è un romanzo del 2001 di Richard Morgan. La storia assomiglia a quella della serie televisiva ma ciò che principalmente differisce è il punto di vista. Non a caso nella recensione sulla serie avevo commentato come “Netflix ha deciso di esplicitare tutto quello che il romanzo manteneva implicito, le due opere cambiano binario e quindi diventano elementi completamente distinti”.
Il fulcro del romanzo non è Takeshi Kovacs o il presunto omicidio di Lauren Bancroft, ma il futuro distopico, la realtà politica in cui i personaggi vengono immersi, il cosiddetto “Harlan’s world”. Fin dal breve prologo comprendiamo come l’universo sia dinamico e sfuggente, così come la scrittura quasi nevrotica di Morgan. Ci vengono presentati due personaggi: Takeshi e Sarah, amanti e contrabbandieri fuorilegge. Ma improvvisamente.
<<Lo sentimmo entrambi. Un doppio clac metallico dal corridoio esterno. I nostri occhi si incontrarono e per un quarto di secondo vidi il mio shock riflesso in lei. Poi le lanciai la pistola. Sarah allungò la mano e afferrò l’arma al volo nell’istante in cui la parete della camera franò con rumore di tuono. L’esplosione mi scaraventò in un angolo, a terra>>.
Sono arrivati gli uomini del commando spaziale, “gli sbirri”. E’ un massacro, Sarah muore ma intenzionalmente la scrittura non empatizza, scorre via come l’acqua sulla roccia. Anche Takeshi è spacciato ma anche in questo breve frangente mostra il suo temperamento fiero, ostinato e incosciente. Sa che nel momento in cui afferrerà la pistola, al posto di arrendersi, verrà colpito da un proiettile fatale. Ma Takeshi Kovacs lo fa perché sa qualcosa che noi lettori ignoriamo.
In un anno imprecisato, molto lontano dai primi anni duemila, non si muore più come “una volta”. Le malattie, le lacerazioni della carne, il sangue che scorre non significa più nulla. Questo è il secolo delle “pile corticali”, il contenitore della personalità da inserire nelle “custodie”, corpi biologicamente vuoti e funzionanti. Takeshi Kovacs è stato arrestato e condannato, per questo la sua pila corticale è stata immagazzinata.
Insomma è al gabbio.
Il romanzo si apre con il suo risveglio. Ecco, fermiamoci un momento su un aspetto che è stato abbastanza trascurato dalla serie tv perché la scrittura lo rende implicito e “sotto pelle”. L’autore sottolinea come rinascere in una nuova custodia non sia un passaggio di immediato e si avvicina, per certi versi, alla reazione violenta dei corpi umani all’innesto di abilità meccaniche nel mondo videoludico di “Deus-ex machina”.
E se armonizzare pila e custodia risulta biologicamente funzionale, a livello psicologico si rischia un gravissimo disturbo post traumatico. La pila rielabora i ricordi e le emozioni della custodia precedente. Per questo Morgan ha impostato brillantemente una narrazione in prima persona, quella di Takeshi Kovacs, dove gli avvenimenti attuali si fondono con quelli passati, con i ricordi di un’altra vita.
“Uscii dalla vasca sbattendomi, una mano incollata sul petto in cerca delle ferite, l’altra stretta su un’arma inesistente. Il peso mi colpì come un maglio e ricaddi nel gel di galleggiamento. Agitai le braccia, colpii brutalmente il bordo della vasca con un gomito e boccheggiai. Grumi di gel mi entrarono in bocca e scesero in gola”.
Uno dei grandi temi del romanzo è lo spaesamento dello straniero, la natia ormai perduta. Kovacs, come verrà chiamato per tutto il romanzo, comprende immediatamente di non essere a casa ma nell’universo di Harlan’s World, sul pianeta terra, per via dello storpiamento del cognome. Dalla sua flemma comprendiamo come, a differenza della serie televisiva dove sembra l’Hulk rosso, riesca a gestire il cambiamento perché è un criminale navigato.
Kovacs viene portato a colloquio dal direttore che senza mezzi termini gli fa capire che lo disprezza e che l’unica ragione per cui è stato scongelato è per via del signor Bancroft, “che la pensa diversamente”. Così si avvia versa l’uscita dove sospetta che ci sia qualcuno ad attenderlo per portarlo dal tizio che “la pensa diversamente”. Fuori dalla clinica si introducono due elementi essenziali: la risoluzione 653 e Kristin Ortega.
La risoluzione 653 è una proposta di legge che vuole obbligare a far rivivere le pile corticali in modo da farle testimoniare nei processi. Kristin Ortega invece è un tenente della polizia che si presta ad accompagnarlo da Bancroft. Fra le tante spiegazioni che Ortega da a Kovacs quella che più mi ha colpito riguarda i manifestanti fuori dalla clinica ed Ortega cita quel piccolo stato dittatoriale vicino al lazio nel centro Italia.
<<Kovacs, io odio quei maledetti freak. Ci hanno stritolato per quasi 2500 anni. Sono responsabili di una quantità di sofferenze maggiore di quella prodotta da ogni altra organizzazione della nostra storia. Sa che non lasciano nemmeno praticare ai loro fedeli il controllo delle nascite, Cristo santo, e che negli ultimi cinque secoli si sono opposti a ogni conquista medica significativa? Praticamente, l’unica cosa che si possa dire a loro favore è che la presa di posizione sulla digitalizzazione ha impedito loro di diffondersi ancora di più tra il resto dell’umanità>>.
Complimenti Morgan, ci vuole coraggio ad essere così diretti…hai tutto il mio appoggio. Ovviamente Netflix non è stato audace come te.
L’inizio del terzo capitolo riassume molti aspetti futuri del romanzo. Ortega accompagna Kovacs alla Suntouch House(traduzione birbantella…), dimora di Laurens Bancroft. Qui vengono accolti da Mirian, la bella moglie del magnate. Qui lo scrittore Morgan accentra immediatamente il conflitto fra Kristin Ortega e la famiglia Bancroft ma senza dare spiegazioni nell’immediato.
La forza dell’implicito e del realismo.
Successivamente ci sarà la velata seduzione di Miriam ai danni di Kovacs, confermata e quasi giustificata dall’indifferenza con la quale la donna viene trattata dal marito. Ma è l’incontro fra il protagonista e Bancroft a spalancare definitivamente la storia.
“Bancroft aveva l’aria dell’Uomo Che Legge…Era snello ed elegante, con una foltissima capigliatura grigio ferro che portava a coda di cavallo, e duri occhi neri. Il libro che teneva in mano attorno erano un’estensione naturale della centrale mentale che si affacciava ai suoi occhi”.
La prima descrizione arriva immediatamente al punto. Un Mat, una semi divinità di oltre trecento anni, un possessore di conoscenza come il filosofo platoniano, e nonostante tutte le possibili custodie decide di mostrarsi come un uomo maturo ed elegante, come per suscitare timore e reverenza, come per diventare un icona, così direbbe Lars Von Trier. Morgan approfitta del colloquio per dare delle spiegazioni sul passato di Kovacs; era uno spedi, un soldato specializzato in tecniche mentaliste.
“Da lì è iniziato il Corpo. Hanno preso tecniche psicospirituali che le culture orientali terrestri conoscevano da millenni e le hanno distillate in un sistema d’addestramento così completo che su moltissimi mondi è stato proibito all’istante assumere cariche politiche o militari a chiunque l’avesse superato”.
Bancroft gli parla del caso: qualcuno ha spappolato il cranio di una delle sue custodie con la pistola di sua proprietà, che si trovava nella cassaforte, apribile solamente con le sue impronte o di quelle della moglie Miriam. La soluzione di Kovacs è lampante: suicidio o omicidio da parte di Miriam. Lauren Bancroft nega energicamente questa dualità di soluzioni, del resto già vagliata dalla polizia, da Kristin Ortega, e promette libertà e benefici in caso di riuscita.
Dal quarto capitolo in poi il caso diventa il pretesto per muoversi in questo modo, per innamorarsi di Takeshi Kovacs. Un personaggio paradossale e soprattutto umano. All’incontro immediatamente successivo con Miriam Bancroft, si discute del caso ma tutta l’attenzione del protagonista è focalizzata su un solo aspetto.
“La postura di Miriam Bancroft diceva che dovevo dare un’occhiata. Lasciai correre lo sguardo sugli zigomi slavi, sulla scollatura, sui fianchi arroganti e infine sulle linee seminascoste delle cosce; continuando a fingere un distacco al quale né io né la mia eccitata custodia avevamo il minimo diritto”.
Da questo momento in poi Kovacs deambulerà da un luogo all’altro, senza una guida o meta e come in un film noir risolverà il caso andando a tentoni. Saranno le situazioni a trovare lui e non il contrario. Morgan, lo scrittore, in presenza di Kovacs imposta una specifica tecnica di scrittura: a contatto con la realtà, Kovacs fa partire immediatamente un ricordo, un termine di paragone del passato per un presente che non riconosce.
Questo tinge la storia di una sfumatura malinconica ed inquietante nello stesso tempo. Ad apertura del capitolo 5, i primi pensieri sono rivolti alla morte di Sarah, che secondo la percezione di Kovacs “…era successo solo la notte prima. Soggettivamente”.
Il primo anello per la risoluzione del caso è l’aggressione che Kovacs subisce all’hotel Hendrix. Come esplorato nella recensione della serie tv, il personaggio di Poe non esiste ma è evidente come il riferimento siano le parole di Ortega a pagina 70. L’aggressione sventata dal fin troppo efficiente sistema di sicurezza dell’Hendrix, introduce uno dei personaggi fondamentali della storia: Kadmin, detto Dimi the twins, chiamato così perché sempre in possesso di una seconda custodia.
L’intervento di Ortega e della sua squadra è il pretesto per mostrare il tipo di rapporto futuro tra la poliziotta e il protagonista: contraddittorio, mordace e sfuggente. Da buon personaggio noir, Kovacs ottiene informazioni mentendo su quello che sa. Ripete più volte che “…Ortega aveva cominciato a guardami con un’ostilità meditabonda che non mi piaceva molto”.
I due incominciano a parlare del caso, del perché un assassino spietato come Dimitri Kadmin fosse venuto proprio per lui. Kovacs è sospettoso perché non pensa sia una coincidenza: il giorno stesso che viene ingaggiato da Bancroft per risolvere il suo presunto omicidio, qualcuno gli fa visita e non per prendere un thé. A questi dubbi Ortega risponde in maniera molto specifica, parole che ampliano notevolmente il suo personaggio:<<…La polizia ha pochi soldi, poco personale e troppo lavoro. Ci mancano le risorse per inseguire a data indefinita i fantasmi di Bancroft>>. Sottointeso, Bancroft che è un Mat, un privilegiato che calpesta il popolo.
Questa praticità, quest’astio represso, differenzia nel profondo Ortega dal protagonista. Kovacs non ha alcun interesse e fiducia nel genere umano, a lui interessa penetrare il mistero, mettere a posto il puzzle dell’incoerenza. Quindi il caso Bancroft equivale ad un qualunque altro. A Kovacs non interessa la morale o la politica, perché non si occupa della società ma solamente del suo ego malato.
“Eseguii un fiacco tentativo di masturbazione, lasciando correre la mente tra le immagini voluttuose delle curve di Miriam Bancroft, ma continuavo a vedere il corpo pallido di Sarah trasformato in poltiglia dal fuoco del Kalashinkov. E il sonno mi trascinò nell’abisso”.
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