Parte bonus: chiudiamo l’opera di Richard Morgan con gli approfondimenti brevi sulle tematiche, personaggi e l’intervista finale allo scrittore, in appendice al romanzo.
Iniziamo dalla risoluzione del caso, che però non vi svelo con una lunga spiegazione. Quello che mi interessa sottolineare è la bravura di Morgano nel disseminare gli indizi in bella mostra, come la foglia nella foresta.
Il punto è questo: il presunto omicidio della custodia di Laurens Bancroft appare insolubile, ci sono troppe contraddizioni che avvolgono il mistero. Eppure a soluzione spiegata, il caso appare cristallino. Vecchia storia direte voi, quando te lo spiegano è tutto semplice. Si e no, nel senso che il caso comprende sia il suicidio che l’omicidio(come voi lettori ben sapete!) e questo complica le cose.
Il paradosso che già al capitolo 4 Morgan ci da un chiaro indizio.
“Lo seguii a ridosso della ringhiera. Il mio braccio colpì il telescopio e il tubo principale si sollevò…il motore del telescopio emise un uggiolio irritato e riportò lo strumento all’angolo iniziale”.
Questo poi si ricollegherà al capitolo 32 dove Kovacs ricorderà il suo gesto del capitolo 4 e chiuderà il caso.
“In vita mia, mi ero sentito idiota a vari gradi, ma mai completamente come in quel momento. Un indizio d’importanza essenziale era sempre stato disponibile lì, in attesa di qualcuno che lo scoprisse”.
Particolare sfuggito alla polizia, a Bancroft, a Kovacs ed ovviamente al lettore.
Altri indizi disseminati per tutta la storia riguardano i neo-cattolici. Spesso si parla della risoluzione 653 e del rapporto dei neo-cattolici con la morte e le custodie. Non a caso si scopre essere il movente dei magheggi di Reileen Kawahara, ma Morgan te li fa passare come informazioni sul mondo distopico.
Il terzo ingrediente segreto riguarda le custodie che diversi personaggi cambiano durante tutta la durata degli avvenimenti, da Trepp a Kadmin. Insomma, al pari di Ellery Queen, Richard Morgan ci ha dato tutti i tasselli per risolvere il puzzle. Non possiamo certo lamentarci, bravo Morgan!
Adesso voglio concentrarmi sui rapporti fra personaggi. Su tutti, il confronto fra Kovacs e futuro, quel mondo di 130 anni successivo alla suo immagazzinamento. Per tutto il romanzo Morgan sottolinea l’estraneità del protagonista, che si sente un estraneo in un mondo che comprende ma che non condivide. Come già detto questo si esplica in rapporti umani difficili e contraddittori.
Kovacs è un solitario e l’unico motivo per cui sembra avere affinità con Ortega è il fatto che indossi la custodia di Ryker. Credetemi, è evidente nel romanzo, ma non nella serie dove sarebbe stato troppo brutale. Ortega pedina uno sconosciuto che ha il corpo dell’amore della sua vita che “casualmente” è coinvolto nel caso Bancroft, nulla più. Anche dopo la breve relazione e il loro lavorare insieme sul campo Kovacs si esprime in questo modo:
“C’era tra di noi una certa goffaggine, qualcosa che aveva cominciato a concretizzarsi non appena mi avevano scaricato nel corpo di Ryker per l’udienza davanti al comitato…avevamo fatto l’amore qualche volta, con entusiasmo ma con una soddisfazione solo superficiale, e anche quegli incontri erano cessati quando era apparso chiaro che Ryker sarebbe stato scagionato”.
Kovacs era solo un surrogato di Ryker.
Dall’alto canto Kovacs aveva rimpiazzato il ricordo di Sarah con il calore di Ortega. Sarah è onnipresente nella memoria del protagonista. Non è un caso che Kawahara, che conosce Kovacs, la rapisca e minacci la sua pila corticale e non quella di Ortega. Nella serie tv Sarah è stata annullata completamente, a parte la scena iniziale del primo episodio.
Per via della sua cancellazione, gli unici individui con cui Kovacs ha un vero legame sono due: Kawahara e Trepp. L’ennesimo paradosso; un Mat e un nemico. Con Kawahara c’è il tipico rapporto odio e amore, condito con un tocco di disprezzo, ma a conti fatti hanno sii delle differenza ma anche punti in comune: la rabbia e l’ostinazione.
Entrambi sono nati poveri ed hanno dovuto lottare per ottenere i loro successi. Kawahara si discosta da Bancroft sotto questo unico punto di vista: a differenza del “romanticismo di Bancroft” Kawahara è senza scrupoli e diventa il simbolo del progresso ad ogni costo, che avanza senza guardarsi mai indietro. L’odio di Kovacs è tale che il suo obbiettivo non era risolvere il caso.
“<<Tu hai sempre voluto uccidere Kawahara, vero? La stronzata della confessione serviva solo a convincermi a darti una mano>>.
Una domanda che mi ero posto spesso, e ancora non avevo una risposta chiara.
<<Meritava di morire, Kristin. Di morire sul serio. E’ l’unica cosa di cui sono certo>>.”
Trepp è il personaggio rivelazione di questa storia. Ricapitoliamo: Trepp è lo scagnozzo che ha aiutato Kadmin a rapire Kovacs e che poi viene ucciso dal protagonista quando si libera. Fin qua, d’accordo. Nel momento in cui Kovacs segue una pista verso il capo di Kadmin, a lui ancora sconosciuto, rincontra Treep che però non si ricorda di lui perché è in una nuova custodia senza il backup dell’ultimo mese.
Da quel momento in poi Trepp si comporterà come un amica. Solamente con lei Kovacs racconterà del suo passato(l’intero 26esimo capitolo). Kovacs si apre a Trepp perché sa di essere un criminale almeno quanto lei, Kadmin e Kawahara, ed a differenza delle scene con Ortega dove Kovacs ostenta una maschera. La stessa Trepp lo salva all’aerodromo di Carnage e tradisce Kawahara nei capitoli finali.
“Trepp si chinò sulla mia spalla, mi offrì una sigaretta accesa…
<<Hai bisogno di analgesici?>>.
<<Probabile>>. Tastai la testa<<Si>>,
Lei mi passò un dischetto pieno di capsule dai colori nettissimi, senza commenti,”.
Prima di chiudere sulla tecnica letteraria di Richard Morgan, voglio esplorare la tematica dell’essere un Mat, un “Matusalemme” nel significato esteso. Come viene detto nell’intervista allo scrittore:
“…la mia obiezione era: ma se non puoi ricordare la vita precedente, come puoi esserne responsabile? Mi pareva semplicemente ingiusto, soffrire senza la memoria dei crimini commessi”.
Ovviamente Morgan si riferisce al suicidio di Laurens Bancroft, a confermarlo ci sono le parole della moglie Miriam:
“<<E cosa mi dici del senso di colpa?>> domandò lei.<<Ti sei fermato a chiederti come si debba sentire Laurens rendendosi conto di ciò che aveva fatto, quando gli hanno detto che quella ragazza, Rentang, era cattolica, che non avrebbe ripreso a vivere, anche se la Risoluzione 653 l’avrebbe costretta a tornare in esistenza temporanea per testimoniare contro di lui?>>.
E ancora.
“<<…Gli ho letto il dolore in viso. Ha pagato per ciò che aveva fatto. Si è giudicato e si è giustiziato da sé>>”.
Questi pensieri si collegano alla consapevolezza espressa da Bancroft a Kovacs stesso qualche capitolo prima. E citando:
<<Le sensazioni più spirituali diventano più pure, più eteree. Ha idea di cosa accada ai legami emotivi su un arco di tempo simili?>>.
Ve lo dico io cosa accade: Kawahara confessa di aver spinto Bancrofts all’omicidio inniettandogli della betatanatina con le conseguenze:
“<<Rentang, un’altra delicata eco del viso di sua moglie>> disse lei.<<Scelta con cura e poi migliorata con un po’ di chirurgia estetica. Bancroft l’ha strozzata. Mentre stava venendo per la seconda volta, credo. La vita matrimoniale, eh, Kovacs? Cosa non fa a voi maschi>>”.
Avete capito i sottotesti, vero?
Concludiamo sullo stile di scrittura di Morgan, tralasciando le sue doti di ideatore: per quelli che sono i miei standard non è stato sufficiente. Sarà colpa del periodo storico di una pochezza vergognosa? La contaminazione del mezzo seriale cinematografico?
Sono ottimi spunti per un’altra discussione.
Comunque, lo stile di Morgan non è gravemente deficitario; il ritmo è serrato, la struttura e i personaggi sono notevoli ma mancano lunghe descrizioni avvolgenti che permeano e incorporano il lettore nella storia. Raramente Morgan si cimenta in dettagli esplicativi di un luogo o situazione. Ma ci sono eccezioni: le prime due parti mostrano capitoli interessanti perché la scrittura riesce a coinvolgere, la terza parte non è male nel complesso, mentre le ultime 100 pagine sono davvero elementari.
Le tecniche che Morgan padroneggia bene sono essenzialmente due: le sezioni oniriche e le scene d’azione. Sulle scene d’azione non aggiungo altro, riguardo le scene oniriche parlo di tutti i deliri di Jimmy de Soto dove si spezza il pedante alternare dei dialoghi per entrare direttamente nella testa malata di Takeshi Kovacs.
Cavalchiamo verso la conclusione. L’intervista è deludente, per la pochezza delle domande e non per le risposte dello scrittore.
L’aspetto più interessante riguarda l’affermazione secondo cui “molti dei miei personaggi, e certamente Kovacs, sono spettatori della felicità altrui”. Questo aspetto è palpabile in tutto l’arco del romanzo e nell’ultimo capitolo, dove Kovacs dice addio Ortega troppo bruscamente, lo fa per il bene della poliziotta e per non sentirsi meritevole di felicità.
Altro spunto degno è il giudizio che Morgan da della serie firmata netflix: ne loda i lati tecnici ma omette di parlare di quelli legati alla storia…coincidenze? Io non credo. Infine si parla dei riferimenti di Altered Carbon: Morgan ammette l’influsso di “Blade Runner” e della cifra stilistica di Sergio Leone.
Abbiamo finito, giurin giuretto! Però è stato interessante, nevvero?
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