(2014)
Mentre stavo preparando questo recensione stavo navigando su internet e la mia attenzione è stata catturata da un articolo che diceva “Assassination classroom è una piccola, meravigliosa sorpresa. Leggera, scema e priva di spessore, ma pur sempre deliziosa e soprattutto imprevedibile”.
Mi sono infastidito perché definire questa serie “leggera e priva di spessore” significa non averci capito nulla ma per onestà intellettuale devo aggiungere che l’articolista tratta il fumetto, da cui la serie è tratta, ampliando in seconda analisi il suo giudizio. Quindi potrebbe essere che la serie animata sia profonda e che il fumetto no…anche se ne dubito.
Da altra parte questo commento mi ha reso contento perché ho capito che l’opera è riuscita nel suo intento, è riuscita ad ingannare il pubblico medio e questo mi fa sempre molto piacere. Con questa serie dalle due stagioni si vuole fare critica sociale giocando con gli stereotipi dello shonen. In questo senso il capolavoro di GTO è il riferimento principale, e con le dovute differenze ritroviamo la stessa struttura: un insegnante problematico che deve risollevare una classe difficile, un gruppo di alunni che la società ha abbandonato.
Ma se in GTO la storia si basa su insegnamenti “poco istituzionali”, essenzialmente lezioni di vita, in Assassination classroom si accentra tutto attorno all’estraniante esteriorità di “Korosensei”, il tutore delle sezione C-E. L’ingrediente segreto è come l’insegnante sia un polipo alieno che sta minacciando di far sparire la terra, dopo aver fatto esplodere tre quarti della luna. Uno sviluppo di trama che scuote lo spettatore. In primis c’è l’inquietudine. La scena d’apertura: fotografia cupa dai toni horror, la tensioni sui visi degli studenti che attendono armati di lame e pistole.
Che cosa succede? Qualcosa entra in classe e inizia l’attacco degli studenti ma questa “cosa” schiva tutto con velocità supersonica. All’inquietudine si affianca immediatamente la comicità surreale quando scopriamo come questo alieno abbia dato una scadenza all’esplosione della terra e che voglia diventare un insegnante di scuola. L’alieno permetterà ai suoi allievi di provare ad ucciderlo senza ripercussioni da parte sua.
Lo sentite il delizioso profumo del paradosso, vero?
Qui nasce la bellezza di una storia originale, per una volta, e irriverentemente unica. L’alieno verrà chiamato dai suoi alunni Korosensei (dal giapponese “korosu”, uccidere, e “sensei”, persona di riferimento). Date queste basi come sviluppare questo fantastico soggetto? Lo dico subito: a mio parete hanno sprecato l’enorme potenziale di una storia che avrebbe dovuto spaccare i generi prestabiliti dell’anime giapponese ma lo studio di produzione Lerche, sulla base del manga di Yusei Matsui, ha deciso di seguire il modello shonen, soprattutto per questioni di mercato.
Ma se la struttura appare delineata e ogni episodio diventa il pretesto per soffermarci sulla vita difficile di ogni alunno, con il chiaro l’intento di farlo reagire alla sua misera condizione con un ciclico happy ending, le dinamiche sono decisamente originali. Korosensei si dimostra un abilissimo comunicatore ed un eccellente insegnante che ha a cuore tutti i suoi studenti. Per ognuno di loro crea un diverso percorso di crescita umana e scolastica con un realismo drammatico e commovente. A spezzare improvvisamente questo clima ci pensa l’esteriorità dell’alieno con tutte le gag che gli gravitano attorno. Ma la base dell’ironia è un graffiante no sense.
Perché un alieno che vuole far esplodere la terra dovrebbe forgiare degli alunni falliti di scuola media a diventare degli assassini professionisti, svelando a loro i suoi punti deboli? E’ un capriccio dall’alto dei suoi inarrestabili poteri? Anche se in una scena, una delle poche che svelino il suo passato, Korosensei è piegato su una donna morente che gli fa promettere di prendersi cura di loro…
In ogni caso dalla terza puntata gli sceneggiatori hanno capito che così l’attenzione sarebbe scemata. Per questo hanno introdotto diversi personaggi, tutti adulti o quasi, che in un modo o nell’altro differenziano i passaggi narrativi e completano la trama. Li hanno gestiti molto bene, prendiamo il caso esemplare di Itona. Si scopre essere il “fratello” di Korosensei, per via dei tentacoli allungabili che li accomunano. Il personaggio è di per sé interessante perché risulta essere il degno rivale dell’alieno ma Itona è overpower, fuori contesto.
Con un inserto metanarrativo, gli stessi alunni, che dovrebbero tifare per Itona, aiutano Korosensei a difendersi da lui. Questa scelta, giustificata dalle necessità di trama, è segno di grande professionalità degli sceneggiatori che, pur di non perdere la coerenza interna, relegano Itona a comparire in sole due puntate giustificando la sua assenza nelle altre.
Ma tornerà prepotentemente nella seconda stagione, non fatevi ingannare.
Prima di esplorare il succo dell’articolo voglio parlare degli aspetti esteriori, quelli visivi. Per quanto non sia un esperto, ho trovato i disegni gradevoli e ben fatti, così come tutte le animazioni. La fotografia e la regia sono al servizio della trama e ci permettono di seguirla nel modo migliore. Il montaggio è molto buono perché non fa mai calare l’attenzione e salta con consapevolezza da una situazione all’altra alla prima avvisaglia di noia. Cosa dire, ho trovato nel complesso un approccio cinematografico professionale. Ovviamente a parte la sigla iniziale… che è orrenda. Skippatela per la vostra salute mentale.
Bene, ora disfatevi di tutti gli accidenti e cogliamo la sostanza di questa prima stagione. Cosa rimane a parte le meravigliose gag da black humor, il design da erezione di Irina Jelavic e le riuscitissime trovate action con tutti i riferimenti ai capisaldi del genere anime? Insomma, cosa differenzia questo prodotto per il grande pubblico da tanti altri shonen scolastici irriverenti? La feroce critica sociale verso il sistema sociale nipponico che nella storia si personifica in Gakuho Asao, il preside della scuola.
Io ho vissuto in Giappone per qualche tempo e le dinamiche di discriminazione verso la classe 3-E(“E” significa end) sono reali perché le ho vissute sulla mia pelle come “gaijin”. Così i giapponesi discriminano, loro elevano il mobbing ad una raffinata arte fino ad estromettere te dalla tua stessa esistenza. Il tema è decisamente complicato, quindi non voglio trattarlo in questa sede ma ciò che voglio comunicarvi è come Assassination classroom affondi nella verità di una società monopolizzata dalla competizione, dalla necessità di calpestarsi a vicenda per sentirsi degni di vivere.
Asano Gakusho applica il darwinismo sociale come religione dominante: fin quando ci sarà un posto da reietti dove essere esclusi tutti daranno il loro meglio per non finirci, evolvendo se stessi e la società che servono. Questo è il ragionamento del preside della scuola. Inoltre un tema secondario è come i reietti, gli esclusi della sezione C-END, non siano degli incapaci o dei minorati mentali.
Affatto: c’è chi spicca nelle scienze, chi nella letteratura straniera e chi nella musica. Allora la domanda che lo spettatore si pone è perché siano finiti lì. Scopriamo che in un modo o nell’altro non hanno recitato la parte. Karma Hakabane è uno studente brillantissimo che è stato retrocesso per la sua condotta nichilista, Yukiko Kanzaki invece perché nel tempo libero mostrava un’immagine nerd non consona alla primogenita di una ricca famiglia borghese.
E ancora: Manami Okuda è una studentessa brillantissima in chimica e nelle scienze che però è affetta da un’insicurezza cronica. Lo spettatore, puntata dopo puntata, non riesce a non affezionarsi a questi ragazzi esclusi solamente per essere se stessi.
E’ quindi impensabile che un individuo considerato reietto possa uscire dalla situazione, questo farebbe vacillare le convinzioni del popolo-gregge che sta vivendo per non finire insieme ai reietti. Korosensei combatte contro Asano Gakusho, come un novello V in “V for vendetta”, e sprona i suoi alunni a dare il meglio nello studio e nella vita.
Questo è davvero un messaggio profondo, e io sono solitamente allergico a queste intenzioni di scrittura socialdemocratiche.
Un’altra suggestione: Korosensei insegna ai suoi studenti a diventare assassini, che per motivi di trama devono ucciderlo per salvare il mondo, ma metaforicamente li istruisce nel sangue, nel fallimento e probabilmente nel dolore, perché solamente in questa maniera potranno sopravvivere in un mondo abitato da Asano Gakusho e dai suoi simili. Non sarà la pietà, né la comprensione.
Che immagini prepotente che ci lascia questo “cartone animato”! In quanti prodotti audio-visivi la morale è mostrata così realisticamente ambigua? In quanti casi si è visto scherzare sullo stupro e sull’omicidio? In quanti casi la pietà viene demonizzata come monumento alla debolezza?
Forse perché siamo dall’altra parte del mondo, un continente senza quel pazzo che si è fatto martire poco sotto l’Egitto…
Che poi questo affondo ideologico alla società giapponese venga edulcorato sotto il design puccioso di Korosensei con le sue meravigliose gag…questa è un’altra storia, un vaso di Pandora che non intenzione di aprire adesso. In ogni caso, non voglio svelarvi altri dettagli perché mi aspetto che guardiate questa serie e che ne diate i vostri pareri in un bel commento, proprio qui sotto.
bookmarked!!, I really like your website!