Nel momento in cui ti mostrano la prima entrata in scena del personaggio di Reileen Kawahara ho sentito una puzza di lercio e marcio perché in qualche modo si era rotta la coerenza narrativa costruita in modo ineccepibile fino a quel momento. Mi pareva che le regole in gioco fossero cambiate improvvisamente, come se avessero usato un accetta al posto del bisturi nel mezzo di un intervento chirurgico.
Ne ero certo eppure non riuscivo a spiegarlo, così ho comprato il romanzo di riferimento.
Altered carbon è una serie Netflix che tratta liberamente dal romanzo Altered carbon(Bay city) di Richard Morgan, del 2001. Entrambe le opere sono lodevoli per certi versi e manchevoli per altri, e nonostante quello che dicano i critici né una né l’altra sono dei veri noir. Si ci avvicinano, ognuno al loro modo, ma non abbracciano mai quella definizione.
Lo scenario è un futuro distopico e fantascientifico dove i Mat, i signori più ricchi dell’universo, si sono elevati a divinità. La scoperta dell’I.D.U(immagazzinamento digitale umano) permette loro di sconfiggere la mortalità trasferendo la propria “anima” in pile corticali innestate in corpi vuoti biologicamente funzionanti, le custodie. Evidentemente i riferimenti sono tutti i topoi del genere fantascientifico: Asimov in primis, si fanno citazioni a più livelli di Blade runner e si avverte il senso d’angoscia di Evangelion e Ghost in the shell.
L’intento dei creatori è instillare diversi dilemmi esistenziali; dalla svalutazione del corpo umano, con l’evidente abbandono della morale, alla degenerante onnipotenza della percezione soggettiva che sfocia nella dipendenza da realtà virtuale. In questo senso il caso che Kovacs deve risolvere si allaccia prepotentemente a queste tematiche, avvitandosi ad esse come i tentacoli di una piovra.
Inizialmente la serie si allinea al romanzo, in modo approssimativo perché il passaggio da un media all’altro comporta degli aggiustamenti, ma le tematiche di base vengono riproposte puntualmente e addirittura ampliate. Se da un lato c’è il rispetto della materia di origine, dall’altro c’è una una significativa variazione sulle sfumature del registro narrativo.
Netflix ha deciso di esplicitare tutto quello che il romanzo manteneva implicito, le due opere cambiano binario e quindi diventano due elementi completamente distinti.
Nei primi tre episodi gli sceneggiatori sono stati costretti a prendersi delle libertà per introdurre tutte le sottotrame secondarie, completamente assenti nel romanzo. Lo scritto di R.Morgan, per via della storia scarna, è decisamente più vicino al noir e per questa ragione Netflix ha dovuto ampliarla, con successo nel 90% dei casi.
Fra le invenzioni, il personaggio più affascinante dell’intera serie è Poe, interpretato meravigliosamente da Chris Conner. Questa intelligenza artificiale, padrone dell’hotel Raven, meriterebbe uno spin off. Rappresenta l’anello di congiunzione fra l’androide e l’arroganza di Icaro, l’imperitura curiosità della conoscenza dell’ignoto. Poe, simbolo dell’evoluzione definitiva dell’IA, è come un bambino che ha la potenzialità di un arma nucleare. Il suo sguardo spalancato e innocente vuole abbracciare tutto quello che è parziale, umano e quindi mortale.
Poe e altri personaggi formeranno la Kovacs-family, consentitemi la citazione impropria!, e sembra proprio rappresentare un ipotetico Alfred Pennyworth. L’idea della Kovacs-family viene suggerita nella prima puntata e tracciata già nella seconda da due personaggi che esistono anche nell’opera originale, Kristin Ortega e Vernon Elliot A questi però Netflix affida ruoli di comprimari insostituibili, a differenza del romanzo dove Takeshi Kovacs combatte senza alleati contro tutto e tutti.
Liquidiamo V.Elliot spiegando come nell’opera letteraria rimanga marginale, e risulta evidente come il suo ruolo televisivo serva solo per introdurci le storie della moglie e della figlia, rispettivamente Ava e Lizzie. Kistin è la prova che la mia asserzione sull’esplicitazione televisiva dell’implicito originale è esatta. A ben vedere il rapporto fra lei e Kovacs, in entrambe le versioni, inizia e si conclude quasi nello stesso modo, il “problema” sta nel mezzo.
Nel romanzo la loro attrazione nasce come il surrogato di un patetico sentimento fra nostalgia e dolore. Ortega desidera disperatamente e chimicamente la custodia dell’uomo che ha amato, Ryker, mentre Kovacs affonda il dolore esistenziale negli orgasmi chimici dell’amplesso, che diluisce con una scintilla di empatia.
Nel romanzo si sottolinea chiaramente quanto sia disturbante il loro rapporto e colpisce il lettore con un pugno nello stomaco, ma Netflix ha deciso di aggiungerci un pizzico di “romance”. Sfrutta l’implicito del romanzo, che suggerisce come Laurens Bancroft abbia scelto per Kovacs la custodia di Ryker per punire ed osteggiare la poliziotta, e rende Ortega protagonista, quasi al pari di Kovacs.
E se i loro primi due incontri sono da copione, i successivi tre sono forzati e suggeriscono l’ossessione, a dir poco sospetta, di Ortega nei suoi confronti. Sospetto di trama che viene annullato quando Kovacs scopre di stare usando inconsapevolmente la custodia di Ryker. Ad una seconda visione è affascinante accorgersi come, nelle puntate precedenti alla rivelazione, tutti i dettagli tornino al loro posto.
Certi sguardi di amore e odio che Ortega gli lancia o l’atteggiamento del collega di lei, Samir, che minaccia Kovacs con troppa foga. La sceneggiatura empatizza e amplia la vicenda della poliziotta, e ho adorato questa scelta: Kristin ha una madre e una famiglia allargata nel classico stile latino. Adoro quando bestemmia in spagnolo perché presa dall’ira! Martha Higareda è perfetta nel ruolo; sanguigna, combattiva, veracemente sensuale e fragile.
Ma ecco spuntare quella che sembra essere una crepa: nella serie tv Kovacs prova affetto nei suoi confronti quando così non dovrebbe essere…gli sceneggiatori si sono presi un azzardo che però alla fine paga. Complimenti!
Torniamo alle sottotrame; un paio di queste non hanno alcun senso ma hanno il solo scopo di colmare quello che sembra, ma che non è!, il più grande difetto del romanzo: il mistero della morte di Laurens Bancroft non solo appare insolubile ma non sembrano esserci indizi in merito!
Allora Netflix si inventa di una figlia che si appropria della custodia delle madre per farsi ingroppare dagli sconosciuti e per suscitare il dubbio che forse abbia potuto aprire la cassaforte da cui è stata presa l’arma del delitto…oppure rende il personaggio del figlio Isaac un ladro di una custodia del padre(di nuovo con lo scambio di custodie!). E ancora; rende il primo sospettato Vernom Elliot solo per farlo reclutare da Kovacs fra “i buoni”.
Ma sono peccati veniali che perdono…
Le aggiunte che proprio non accetto sono l’esistenza del Ghostwalker, residuo dell’infezione narrativa chiamata Reileen Kawahara, e la vendetta di L.Bancroft per il rapporto sessuale di Kovac con la moglie Miriam. Su Bancroft ho poco da commentare: per come è stato delineato il personaggio, in entrambe le versioni, trovo la reazione inverosimile e ritengo sia il pretesto per coinvolgere Kovacs nel magnifico combattimento nell’arena.
Perché si sa, se il protagonista non legna come un fabbro in ogni puntata mi cala l’attenzione!!!
Una terza sottotrama che non ho apprezzato riguarda Poe. Non critico il personaggio ma il suo background. Lo si mostra in due scene con questi “amici”, intelligenze artificiali anch’essi, proprietari di qualche attività più o meno lecita. Le scene di per sé sono interessanti perché ci mostrano degli esseri senzienti che non sono sottoposti agli istinti naturali e che lanciano giudizi sul genere umano.
Ma questo non è sufficiente per perdonare un inserimento così blando e inconcludente di una tematica così feconda. E’ uno spreco narrativo che avrei voluto che approfondissero in qualche modo, legandolo alla vicenda principale. Se lo si deve trattare in questo modo, è ben non inserirlo neppure.
Dal quarto al sesto episodio, la storia sembra filare liscia e cita con rispetto l’opera originale.
L’unica aggiunta sostanziale è la prosecuzione della sottotrama di Lizzie Elliot, che nel romanzo non gioca alcun ruolo, a parte quello di essere un nome legato al passato di Miriam Bancroft.
Nella serie tv, la ragazza viene curata con processi psicoanalitici da Poe che interviene all’interno della sua IDU. E’ veramente affascinante vedere applicati i principi della psicologia medica. Poe spinge la mente di Lizzie, vittima di un omicidio brutale, a reagire al dolore e alla paura con il potere della violenza!
Per quanto riguarda Kovacs, che aveva indagato sull’omicidio di Lizzie Elliot presso la collega prostituta, viene rapito da misteriosi criminali che lo scambiano per Ryker, il compagno di Ortega, con cui avevano dei conti in sospeso.
La quarta puntata è quella che ho preferito: rappresenta l’opera letteraria di Morgan in ogni suo aspetto. Lo spettatore non sa che nel romanzo Kovacs soffra di allucinazioni, come sintomo naturale dell’inserimento di una piastra corticale di IDU in una custodia estranea. Nella serie tv dal secondo capitolo in poi le allucinazioni vengano fatte passare come momenti di montaggio slegati dalla storia(flashback), invece nel romanzo la voce del compagno morto, Jimmy de Soto, non abbandona mai il protagonista perché diventa parte integrante della sua mente.
A Netflix non bastava la “romance” con Ortega e hanno creato un bel triangolo(non l’avevo considerato!) rendendo preponderante Quellcrist Falconer, nel romanzo Virginia Vidaura. Eh, si perché fin dal primo episodio l’amore, o meglio il tormento, di Kovacs verso l’amazzone meticcia lo guida durante tutta la serie.Che il “dark passenger”, cogliete la citazione!, sia Jimmy o Falconer, quello che conta è la profondità tematica della tortura. Nell’anno 2384, in un epoca dove cambiare corpo è all’ordine del giorno, la tortura fisica è passata di moda…si ci è evoluti in quella psicologica nella realtà virtuale!
Dimi the twins, il torturatore, spiega a quello che lui crede essere Ryker, che il vero dolore è la paura del dolore stesso. Uccide Kovacs in modi sempre più cruenti per iniettare nella vittima la consapevolezza di morire ancora e ancora, senza via di scampo. Nel romanzo i sussurri di Jimmy sono strazianti, fatevi bastare questa definizione, mentre nella serie Falconer si presta ad un ruolo propositivo perché spinge il protagonista a resistere, a distruggere “la gabbia psicologica” della realtà virtuale.
Ovviamente Kovacs ci riesce, sennò che protagonista sarebbe? Si libera e massacra tutti le decine di persone presenti nella clinica.
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